La messa nella Chiesa di Saint-Michel è quasi finita. Ad ascoltarla sono soltanto in sette: è il 4 di agosto e gli abitanti di Brandes, costa sudoccidentale di Francia, preferiscono andare al mare. Padre Tellier sta per tornare in sacrestia quando all'improvviso compaiono Daoud Berteau e Hicham Boulaïd, coperti fino ai piedi dalla gellaba. Daoud e Hicham sono due ragazzi, vent'anni e poco più, ma i pochi fedeli e il sacerdote percepiscono subito che qualcosa di terribile sta per accadere. Sarà la tunica che indossano, sarà l'aria esagitata dei due, sarà che iniziano a sbraitare e buttano sorella Agnès per terra per dirigersi verso l'altare minacciosi. Agnès fa parte delle Piccole Sorelle di Gesù e, decenni prima, ha sconvolto la sua famiglia benestante facendosi spedire a Soweto, fra i poveri dei poveri, nel nome di Cristo. Quando è tornata in Francia, ha stentato a riconoscere il suo Paese. Frammentato, diviso, indifferente alla religione; a differenza del mondo, che lei frequenta per il suo «lavoro», cioè aiutare, delle comunità musulmane.
È da lì che vengono Daoud e Hicham, sebbene per vie molto diverse. Entrambi sono di origine algerina, ma Daoud è stato adottato da una famiglia borghese, i Berteau, quando aveva dieci mesi, e scopre solo a vent'anni di essere arabo e di sentirsi musulmano. I genitori lo hanno battezzato e chiamato David e David ha frequentato gli scout e la parrocchia ed è un idolo della squadra di rugby locale. È bello e piace alle ragazze, ma un certo punto qualcuna inizia a fare battute sul fatto che sia «arabo». E così, quando un compagno di squadra lo invita alla preghiera del venerdì, lui si incuriosisce e lo segue. E così, quando guarda Homeland sul divano chic di casa sua, e la madre lo coccola come quando era piccolo, non può fare a meno di farsi domande su quel convertito che forse è una spia e su quella agente della Cia che lo insegue nella serie tv: «Io sono musulmano?» chiede alla madre; e anche: «Chi dei due ha ragione?» chiede a sé stesso. Invece Hicham è figlio di un immigrato che si è spaccato la schiena a costruire autostrade per la Francia e nel Paese, che a casa sua era nemico, ha trovato una nuova felicità, al punto da fare trasferire tutta la famiglia. Hicham è l'unico maschio fra tre sorelle, l'ultimo figlio, nato in Francia. È innamorato perso di Emma, che gira in minigonna e tacchi alti; ma, a differenza delle tre sorelle, studentesse eccellenti, Hicham preferisce essere un idolo dei suoi amici, per la strada. Prima frega un cd, poi tenta di rubare un motorino, poi una macchina. Finisce in galera e conosce i «fratelli». Fedeli di una religione che ha sempre visto praticare in casa con tranquillità, ma che fino ad allora aveva decisamente ignorato.
Quale sia la strada che intraprendono Douad e Hicham si può intuire, perché lo abbiamo visto accadere spesso negli ultimi anni e lo abbiamo sentito raccontare dopo ogni attentato di matrice islamista avvenuto in Europa, e specialmente dal Bataclan in poi. Etienne De Montety, direttore del Figaro littéraire, li segue lungo il cammino senza ritorno della radicalizzazione, fino all'esito più tragico, nel suo La grande tribolazione, vincitore del Grand Prix de l'Académie Française (edizioni e/o, pagg. 224, euro 18; in libreria dal 22 gennaio): è un romanzo, ma la finzione è poca. Dentro ci sono la Storia (quella della guerra d'Algeria, che padre Tellier ha combattuto e dove ha fatto il maestro, convinto di poter dare una mano); la storia più recente (l'immigrazione in Francia, sia dal Nord Africa, sia dall'Indocina, da dove per esempio arriva la famiglia di Frédéric Nguyen, poliziotto d'assalto, che si ritrova alle prese con i terroristi); l'attualità in senso stretto, con il deep web e i siti dove seguire la «formazione» dell'Isis, contattare terroristi in Siria, progettare attentati, cercare armi, offrirsi per il martirio, imparare a tagliare gole, studiare le decapitazioni... Questa Grande tribolazione attraversa la Francia, le famiglie (come spiegarsi che due ragazzi ben cresciuti diventino degli assassini spietati?), la Chiesa, la politica, la società, i quartieri, i valori (quali sono e rappresentano davvero qualcosa per i giovani?), i grandi slogan come multiculturalismo e integrazione, le nostre coscienze.
Sorella Agnès riflette: «Ormai la parola d'ordine non è più libertà, ma rispetto». E forse è anche così che vince chi pensa che la «verità» sia qualcosa di intoccabile dal dubbio e «l'errore» qualcosa da combattere, anche quando «l'errore» sono persone.
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