C’è qualcosa di nuovo, oggi, nell’aria. Anzi, di sismico. Questo per dire che anche in politica, insomma, dopo un evento degno di essere registrato come terremoto, si scatena un inevitabile bailamme. Con gente che puntella il puntellabile e altri che corrono a salvare i «gioielli» di famiglia, con chi cerca di infilarsi nelle crepe sperando di trovarci chissà che e chi esorcizza il rischio di ulteriori e ben più forti scosse. Magari con la dubbia eleganza di un dito medio sollevato.
Stavolta, però, in mezzo a quel bailamme, un’unica cosa appare certa. Gli effetti sismici provocati dall’espulsione di Gianfranco Fini e dei suoi uomini dal Pdl, decisa da Silvio Berlusconi, si limiteranno alle zone più vicine all’epicentro. Ovvero all’interno del partito e ai piani alti della maggioranza. Mentre in periferia, nelle Regioni governate dal centrodestra - e appunto questa è la cosa certa - non ci sarà alcun effetto tsunami. Nessuna onda anomala, al massimo qualche innocuo sciabordìo. Del resto, le amministrazioni conquistate da coalizioni che si riconoscono nell’attuale maggioranza di governo nazionale, godono da un lato di percentuali che le mettono comunque al sicuro da sorprese e dall’altro non vedono profilarsi finiani in grado di provocare ribaltoni.
LOMBARDIA
Un ipotetico volo d’uccello sulla penisola, per fotografare le diverse situazioni locali, non può che partire dalla roccaforte lombarda. Il governatore Roberto Formigoni ha sgombrato il campo da qualsiasi dubbio in merito, affermando come «in Regione Lombardia il Pdl è sempre stato compatto intorno alle posizioni del presidente Berlusconi. No, non ci saranno ricadute e continueremo a lavorare con grande serenità e compattezza anche in un’alleanza molto solida con la Lega». Lega che per bocca del presidente del Consiglio regionale, Davide Boni, ha ribadito il concetto ricorrendo anche all’arma dell’ironia. «Non credo che vicende politiche così lontane da Milano possano avere effetti diretti qui», ha esordito Boni. Aggiungendo poi, forse più sarcastico che ironico, «anche perché non ho mai visto nessuno, in Consiglio, con cartelli appesi alla giacca con il nome di Fini scritto sopra».
PIEMONTE
Più preoccupata (forse) dalla riconta dei voti, che non dalle possibili onde d’urto in arrivo da Roma, è la giunta della Regione Piemonte. Dove non sono del resto alle viste personaggi di casacca finiana in grado di creare pensieri a Roberto Cota. Sul quale vigila del resto, stendendo il suo ombrello protettivo, il senatore Umberto Bossi in persona, sicuramente l’alleato più solido del premier. Che da giorni minimizza le ipotesi di possibili conseguenze derivanti dalla rottura tra Berlusconi e Fini.
VENETO
Con un distaccatissimo «noi la politica la lasciamo fare agli altri», frase che gli calza quasi come una delle sue ormai celebri giacche sciancrate, il presidente del Veneto Luca Zaia ha ribadito la scelta della «politica del fare». Aggiungendo la più che eloquente postilla «a prescindere dalla decisione degli assessori Pdl se stare o meno con Fini». Del resto, l’unico finiano «storico» di un certo spicco sarebbe il veronese Alberto Giorgetti, sottosegretario all’Economia, dato però dai conoscitori di cose venete come uomo di grande cautela, ben lontano da possibili colpi di testa. Stessa cosa vale per i colleghi di casacca Giorgio Conte e Maurizio Saia, passati con Fini ma considerati senz’altro più predisposti al volare basso.
FRIULI-VENEZIA GIULIA
Anche il governatore del Friuli-Venezia Giulia, il carnico Renzo Tondo, ha ostentato sicurezza dicendosi certo che Berlusconi «abbia fatto bene i suoi conti». E pur avendo come ingombrante vicino di casa un esponente di spicco dei fedelissimi dell’ex leader di An, il triestino Roberto Menia, sottosegretario all’Ambiente (uno di coloro che ha fatto il grande passo), Tondo ha aggiunto di vedere «senza prospettiva politica» la scelta di far nascere un altro gruppo parlamentare. E se non c’è prospettiva a Roma, figurarsi in Friuli.
CAMPANIA
«Nonostante la comune origine campana, quei due sono soltanto dei miracolati romani. Nel senso che qui non contano niente e non saranno in grado di muovere foglia». L’anonimo napoletano è uno che sa, eccome se le sa, le cose di Napoli e dintorni. E i «due» di cui parla sono finiani doc, Italo Bocchino e Pasquale Viespoli. Tanto per dire che anche in Campania non si attendono stravolgimenti. Unico personaggio di spicco, nell’area ex An, sarebbe la consigliera regionale Bianca d’Angelo, imprenditrice e compagna di un altro finiano di spicco, l’europarlamentare Enzo Rivellini, passato alla storia per aver gettato nel panico gli interpreti di Strasburgo facendo uno spassoso intervento in napoletano stretto. Il quale ieri, pur invitando il Pdl a non commettere a Napoli «l’errore fatto a Roma», ha però ribadito in un comunicato della sezione campana della finiana Generazione Italia, da lui presieduta, «fedeltà al centrodestra». Quindi, se tanto ci dà tanto...
CALABRIA
Pure se ex esponente del Fronte della gioventù, ex missino di belle speranze, ed ex delfino proprio di Gianfranco Fini, dal governatore calabrese Giuseppe Scopelliti, autentico e solido plenipotenziario in zona del Pdl, ci si può oggi attendere tutto, meno che un voltafaccia, assicurano quelli che lo conoscono bene.
Al punto che, arrivati così in fondo all’Italia, viene quasi spontaneo chiedersi: ma quante sono, e dove sono mai, le divisioni di Fini?
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