Dunque, le iniziative per il cinquantesimo anniversario della pubblicazione, in Francia, di Arcipelago Gulag sono... Non ci sono. Massì, in un Paese come il nostro, dove la cultura è fragile di consistenza e penosa per malafede, può capitare di dimenticarsi di un capolavoro, da noi uscito per Mondadori nel 1974, che ha fatto la Storia. Può capitare soprattutto se l'opera in questione ha messo la sinistra davanti a una verità semplicemente innegabile: il socialismo dal volto umano non è mai esistito. Il comunismo era violenza dello Stato sull'individuo, economia fondata sullo schiavismo, soppressione della libertà di pensiero. Fu per questo che Aleksandr Solzhenicyn finì nel mirino di una delle più vergognose campagne stampa di tutti i tempi. Giorgio Napolitano elogiò la scelta sovietica di mandare lo scrittore in esilio, dopo averlo rinchiuso per anni in un Gulag e dopo avergli impedito di ritirare il premio Nobel. La decisione parve molto sensata al futuro presidente della Repubblica. Scrisse su Rinascita che in sostanza quel provocatore di Solzhenicyn se l'era andata a cercare: «Non c'è dubbio che questo atteggiamento al di là delle stesse tesi ideologiche e dei già aberranti giudizi politici avesse suscitato larghissima riprovazione nell'Urss». Perciò «anche se si tratta di una grave misura restrittiva dei diritti individuali», il fatto che lo scrittore fosse stato espulso e non incriminato, poteva essere «obiettivamente» considerata la «soluzione migliore». Del resto, un simile esito «sarebbe stato impensabile nei periodi più duri della storia sovietica».
Pietro Citati scrisse sul Corriere della sera, il 16 giugno 1974, che Arcipelago Gulag era apprezzabile ma sentiva il bisogno di puntualizzare: «Per coloro a cui la fortuna ha risparmiato una prova così atroce, credo che sia più proficuo dimenticare del tutto...». Dimenticare? Solzhenicyn aveva scritto il libro per obbligare tutto il mondo a ricordare, per sempre, l'oltraggio all'umanità chiamato Gulag. Gli scrittori italiani trattarono il volume come robetta senza valore. Come ha scritto Marta Dell'Asta: «Carlo Cassola lo denigra dal punto di vista artistico; Umberto Eco lo chiama Dostoevskij da strapazzo; Alberto Moravia lo liquida come nazionalista della più bell'acqua».
Per fortuna, la storia del Giornale ci colloca esattamente dall'altra parte della barricata, come si può vedere dal magistrale articolo di Enzo Bettiza pubblicato in queste pagine. Il Giornale era nato proprio con la missione di smascherare le mistificazioni della cultura progressista e di riconoscere sempre le opere di qualità artistica superiore. In più, Bettiza metteva una straordinaria conoscenza del mondo sovietico e di Aleksandr Solzhenicyn in particolare. Fu proprio Bettiza il primo traduttore italiano del grande russo.
Ma Bettiza coglie in pieno la dimensione del problema: Solzhenicyn è due volte dannato agli occhi della cultura italiana. Non solo denuncia la ferocia del comunismo ma lo fa da un punto di vista cristiano. Questa è la cornice esatta nel quale va collocata la straordinaria opera di Solzhenicyn. Non a caso, sarà una delusione perfino per gli occidentali anticomunisti. Solzhenicyn non era venuto per tessere le lodi del capitalismo e dell'Occidente. Restava profondamente russo, al limite (superato) del nazionalismo. Era profondamente critico del nostro stile di vita ossessionato dal consumismo e accecato dal materialismo. Andò in America, e in un celebre discorso ad Harvard, sbalordì tutti con una tirata contro il conformismo, che in Occidente assume, per dimensioni e forma, l'aspetto della censura.
Dunque non stupiamoci che nessuno abbia sentito fino a qua il bisogno di celebrare Arcipelago Gulag. Da queste parti, molto è cambiato ma non l'idea, ormai insostenibile, che il socialismo sia una cosa e il socialismo reale sia un'altra.
Non va tanto meglio a chi osa proporre il messaggio cristiano alla base di tutto il resto: l'accusa di integralismo, simile a quella di fascismo, è sempre pronta per buttare fuori dal dibattito le voci non allineate.
Ma non allineate a cosa? Perché il problema è anche che a sinistra sono tutto chiacchiere e distintivo: il distintivo serve a esercitare il potere ereditato e residuale ma le chiacchiere celano il vuoto spinto che ha preso il posto di una cultura perdente perché disumana.
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