Nessuno lo dice, ma è già recessione

La notizia è pressoché certa, anche se resta ancora nascosta nei conciliaboli tra gli uomini di governo. Nell’anno in corso la crescita economica sarà negativa. Nella migliore delle ipotesi sarà zero. Siamo, dunque, all’inizio di una recessione. Il crollo della produzione industriale (nel primo trimestre è inferiore alla media del 2007) ne è uno degli indicatori più forti. È vero che in tutta Europa la crescita economica rallenta in conseguenza delle turbolenze dei mercati finanziari, ma è altrettanto vero che in quasi tutti i Paesi della zona-euro è al di sopra dell’1,5 per cento, con la Spagna che supera il 2 per cento.

Quanti oggi inneggiano alla riduzione del deficit di bilancio, risultato comunque importante, dimenticano di aggiungere che questo risultato è dovuto solo all’aumento della pressione fiscale che ha raggiunto, con buona pace di Vincenzo Visco, la punta record del 43,3 per cento. Sembra davvero la riproposizione di un vecchio adagio popolare secondo il quale l’intervento è riuscito ma l’ammalato è morto. Da tempo non riusciamo a far comprendere che l’unica azione virtuosa per risanare i conti pubblici è spingere sulla crescita economica. Quando sentiamo da Enrico Morando, l’estensore del programma del Partito democratico, che bisogna ridurre di mezzo punto la spesa primaria nel 2009 e di un punto l’anno nel biennio successivo, ci viene la pelle d’oca. Non perché siamo contrari alla riduzione della spesa primaria (bisogna salvare però la spesa in conto capitale), ma perché sappiamo bene che questo sarà possibile solo se l’economia italiana ingranerà la quarta, come si suol dire in gergo. Una riduzione della spesa pubblica, infatti, in presenza di una crescita zero o negativa accentua gli input recessivi con un avvitamento pericoloso che mette a rischio la coesione sociale.

D’altro canto la storia si ripete. Negli anni ’96-99 la riduzione del deficit di 6 punti da parte del governo Prodi fu possibile solo per il calo internazionale dei tassi di interesse che fece risparmiare al Tesoro ben 5 punti di Pil. Fu in quella stagione che la crescita economica si appiattì e la produttività del lavoro crollò. Oggi che i tassi d’interesse sono in salita e la liquidità del sistema è in panne, l’economia italiana, già in affanno, sta naufragando. È sufficiente guardare la tabella che lo stesso ministero dell’Economia pubblica nella relazione inviata in Parlamento per leggere che nei prossimi anni, a politiche invariate, la striminzita crescita nel prossimo triennio oscillerà tra l’1,2 per cento e l’1,7 per cento. E sarà sostenuta esclusivamente dalla domanda interna, mentre il contributo delle esportazioni sarà pari allo zero. Siamo alla vigilia di tensioni sociali gravissime.

C’è bisogno, dunque, di una manovra di finanza straordinaria, come pure viene detto nel programma del Pdl, ma non per ridurre lo stock del debito accumulato, quanto per finanziare la crescita, mettendo così l’Italia sulla stessa lunghezza d’onda dei Paesi della zona-euro. È solo con la crescita, infatti, che si può stabilmente ridurre il debito oggi più alto di quello che c’era alla fine del 1991. I lettori sanno che da anni sosteniamo la bontà di questa scelta a sostegno della crescita e da anni abbiamo anche indicato l’unica strada possibile per attuarla, quella di reperire 25-30 miliardi di euro attraverso un grande spinoff degli immobili di proprietà dello Stato locati dalla pubblica amministrazione. Nel bilancio dello Stato queste risorse non ci sono e se qualcuno ha un’idea diversa, siamo pronti ad applaudirla e a farla nostra. Diversamente, davvero si parla al vento.

La recessione, ormai, non bussa solo alla porta. È già entrata nelle nostre case e rischia di devastare ancora di più la vita di milioni di famiglie che ballano già oggi sul baratro di una indigenza sino ad alcuni anni fa totalmente sconosciuta.

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