Palermo - Un albero di Natale che doveva essere ancora completato, una cena mai consumata, qualche pupazzo di peluche, uno stereo, foto di donne, nessuna valigia pronta o altri segnali che possano far pensare alla necessità di dover fuggire in poco tempo. Sono le immagini dell'appartamento al primo piano di un palazzo in via Filippo Juvara a Palermo, dove ieri è stato bloccato dagli uomini della 'catturandi' della squadra mobile di Palermo il boss Giovanni Nicchi.
Covo provvisorio Dalle indagini sarebbe emerso che quello di via Juvara non era il covo principale di Nicchi ma una base d'appoggio in cui il latitante si sarebbe rifugiato ieri sera. Un appartamento di proprietà di due persone che sono state fermate con l'accusa di favoreggiamento. L'appartamento, in cui la polizia è tornata stamattina per un sopralluogo, è composto da un ingresso-soggiorno, una camera, una cucina e un bagno. E proprio nel soggiorno c'é un finto albero di Natale, bianco, che doveva essere ancora addobbato: sul pavimento gli agenti hanno infatti trovato delle scatole con le decorazioni. In una vetrina accanto generi alimentari, diversi servizi di tazze e bicchieri e qualche pupazzo di peluche, mentre sul tavolo ci sono i resti di una cena non consumata: un vassoio pieno di pasta e una vaschetta con del pesce. Dall'altro lato del piccolo salotto c'é invece un divano e un mobile con uno stereo. Dalle foto di mobili e suppellettili, sembra di essere di fronte ad un appartamento abitato da persone non agiate, come invece era Nicchi, che era anche stato fotografato dagli investigatori a New York a bordo di una limousine mentre sorseggiava champagne in compagnia di altre persone (nella foto, è in altro con il sigaro in mano). La cucina è invece una stanza piccola e buia con una finestra con le inferriate che affaccia su un cortile interno. E anche la camera da letto sembra essere piuttosto piccola. Giusto lo spazio per un letto con testata, un armadio con le ante a specchio, due comodini. E alle pareti tre immagini religiose: una madonna, due angioletti e un quadro con la sacra famiglia.
Un computer, due telefoni cellulari e alcuni documenti sono stati rinvenuti dalla polizia. Il materiale ritrovato è al vaglio della scientifica, ma già subito dopo la cattura del mafioso, il questore Alessandro Marangoni aveva parlato di ritrovamenti "interessanti". Il covo del boss, un'abitazione modesta a poche centinaia di metri dal Palazzo di giustizia, è stato passato al setaccio per tutta la notte dalla polizia che ha archiviato ogni reperto utile alle indagini. L'appartamento, di proprietà di una anziana morta nei mesi scorsi, era utilizzato da Giusi Amato, 27 anni, arrestata assieme ad Alessandro Presti, 19 anni, con l'accusa di favoreggiamento.
La sera era in un pub Ha trascorso l'ultima serata da uomo libero in un pub nel centro di Palermo, Gianni Nicchi. Segno, secondo gli investigatori, che il boss non nutriva il sospetto che gli agenti fossero sulle sue tracce. "Nicchi - spiega Maurizio De Lucia, pm della Dna che, per anni, da sostituto procuratore a Palermo, ha svolto le indagini sul capomafia - era sicuro di potere contare sulla fedeltà dei suoi favoreggiatori e che nessuno nella zona l'avrebbe tradito".
"Chiederemo il 41 bis" Già domani la Procura di Palermo proporrà al ministero della Giustizia l'applicazione del carcere duro per il boss . Lo afferma il procuratore di Palermo Francesco Messineo. "Attraverso la Direzione nazionale antimafia, faremo giungere al ministero della Giustizia tutti i dati necessari per l'applicazione del 41 bis al boss Nicchi che ha già, comunque, due condanne per associazione mafiosa".
"Bracco", "Panda" e i superpoliziotti Il loro capo racconta, sorridendo, che a notte fonda, quando ormai la Mobile era deserta e in ufficio era rimasta soltanto la squadra, i ragazzi continuavano a proporgli indagini, idee. "Andavano a duemila - dice Mario Bignone, che in un anno di permanenza alla Catturandi di Palermo ha arrestato il numero due e, ieri, il numero tre di Cosa nostra Gianni Nicchi - Io ero stanco morto e loro pensavano alle prossime inchieste". Loro, i ragazzi - anche se i più grandi hanno superato i 40 - ridacchiano seduti attorno alla scrivania del capo, al secondo piano della Mobile. Pronti a raccontare minuto per minuto il blitz. Come tra fratelli ci si prende in giro, ci si danno soprannomi che poco hanno a che vedere con la figura dei "guerrieri" senza paura che i media gli dipingono addosso. Si chiamano Bracco, Don, Verbese - come la marca di un vino siciliano a buon mercato - Panda, nome affibbiato a un corpulento agente per sue le occhiaie scure. Hanno smesso di contare le ore di lavoro. "Forse 24 al giorno - dicono - ma questa non è una professione che fai guardando l'orologio. E nemmeno lo stipendio". Su una cosa sono tutti d'accordo: la caccia ai latitanti è una passione che ripaga dei sacrifici, enormi, personali ed economici. Molti di loro sono alla Catturandi da 16 anni: Don, ad esempio, che tra poco sarà trasferito. "E' ora di dare un po' di spazio anche alla famiglia", dice. Una carriera lunga la sua, tanto da ricordare straordinari successi come la cattura di Giovanni Brusca e del capo dei capi Bernardo Provenzano. Ma non ci sono esperienze più o meno forti. "Ogni arresto - dicono - é una cosa a sé, ha una storia". "Però in tutti - spiega Bracco - quando sei vicino alla meta, lo senti a pelle. Sono segnali oggettivi che trovano conferma in una straordinaria sensibilità sviluppata in anni di indagini. A quel punto sai che stai arrivando e cominci ad accumulare un'adrenalina unica". I momenti che procedono il blitz si vedono tutti nella stanza del capo, indossano la maglietta col loro logo e il mephisto e, piantina alla mano, si dividono i compiti. "Tutto viene programmato nei minimi dettagli. - dice Don - C'é chi circonda l'edificio, chi sale ai piani superiori, chi entra nei covi".
"Voleva scappare sul tertto" "Ieri - raccontano - quando siamo entrati, abbiamo visto Nicchi appeso a un serbatoio del cortile interno dell'appartamento. Voleva salire sul tetto e fuggire da lì. Ha alzato la testa e si è visto dieci revolver col colpo in canna puntati contro. Lo abbiamo afferrato e tirato su". Una fuga breve, quella del boss, tentata più per istinto che per convinzione. Poco prima di sfondare la porta con una mazza - "in genere non ci aprono spontaneamente", racconta Bracco ridendo - il capo comincia a incitarli. "Dai, così, andate", gli grida. "Ho ancora nelle orecchie la sua voce", dice uno degli agenti. Ma la parola che fa scattare la festa è: "Positivo", urlata quando c'é la certezza che la meta è raggiunta.
I fan su Facebook "La mia è una macchina straordinaria", dice Bignone che può vantare anche una pagina di Facebook dedicata ai suoi ragazzi che finora ha 1297 fan. Ma gli agenti ci tengono a precisare che senza i mezzi e, soprattutto, le intercettazioni, nulla sarebbe possibile.
Di parlare di straordinari che non arrivano, oggi, però non hanno voglia. Questo è il giorno dei festeggiamenti. "Da domani si ricomincia - spiegano - E' come una droga. Raggiunto l'obiettivo, ci si mette subito a lavorare al prossimo".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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