Dal no a Bush agli assalti ultrà Il ministro che sa solo cedere

Nelle situazioni delicate il titolare del Viminale s’è sempre defilato

Bush a Trastevere alla comunità di Sant’Egidio? Meglio di no. Bloccare la teppaglia inferocita che, dopo l’assassinio di Gabriele Sandri, metteva a ferro e fuoco Milano e Roma? Lasciamo perdere, facciamo finta di nulla. E ora la «soffiata» che vuole sia sempre partito dal Viminale il suggerimento indirizzato al Sacro Soglio di cancellare la visita alla Sapienza. Più che nel mitico Eta Beta, Giuliano Amato sembra si sia trasformato - lungo l’arco della sua permanenza al ministero degli Interni - in una sorta di «sor tentenna»: pieno di dubbi, ansioso di rischiare il minimo, interessato soprattutto a evitare ogni tipo di scontro.
Difenderà anche l’incolumità degli agenti, che quasi sempre sono i primi a rimetterci quando le piazze ribollono. Ma certo questo defilarsi continuo non è che faccia un gran bene ad un Paese che al primo posto dei suoi timori mette sempre e comunque la sicurezza. Forse il capzioso ruminare sul come evitare lo scontro andava bene a Palazzo Chigi o al ministero del Tesoro, dove gli agguati erano d’altro tipo. Ma dove se non al Viminale occorre che comunque si prenda in considerazione in alcuni casi il pugno di ferro? Mentre Amato non solo non ci prova neanche col guanto di velluto, ma di fatto sceglie invece vie di fuga che paiono a tratti incomprensibili.
Già l’altra sera a Roma erano filtrate le «preoccupazioni» del ministero degli Interni per l’annunciata visita alla Sapienza. Si parlava di «misure di sicurezza da rafforzare», ma sotto sotto già si palesava la poca voglia di farlo. Mobilitare gli agenti in servizio nella Capitale per la sicurezza di Benedetto XVI sembrava quasi una impresa titanica.
Sarà anche vero che la sorveglianza nella città universitaria è complessa (ci sono decine e decine di tetti da controllare, strade e stradine da chiudere, centinaia di aule e uffici da perlustrare a fondo), che ci vogliono uomini, mezzi e magari anche danaro che nelle casse del ministero non ci sono; ma se uno Stato non riesce neppure a garantire la pacifica visita di un capo di Stato straniero nel suo primo ateneo, cosa si deve pensare dello stato di salute del sistema di sicurezza in quel Paese?
Del resto a Napoli e dintorni, per impedire i riots dei furenti cittadini appestati dalla munnezza ci hanno mandato sì l’ex capo della polizia De Gennaro, ma con l’esercito e non con la P.S., che aveva mostrato in precedenza di poter far poco. Sarà anche che Amato non vuole che la gente identifichi i suoi uomini come inflessibili avversari di povera gente in rivolta.

Ma se non si può contare sulla polizia nemmeno per bloccare qualche docente universitario fumantino o alcune centinaia di studenti che annunciano una «mangiata di porchetta anticlericale», come si può credere che quello stesso ministero possa organizzare la lotta alla criminalità dilagante, i controlli sui clandestini, l’osservanza di leggi e regolamenti su tutto il territorio nazionale?
E se per davvero divampasse all’improvviso una emergenza, a questo punto, cosa farebbero al Viminale? Se si ripetesse a Roma o in un altra città italiana quanto già avvenne a New York l’11 settembre o a Madrid l’11 marzo, quale possiamo pensare sia la risposta del Viminale? Chiudere i politici nostrani nei rifugi antiatomici? Rinunciare alla rincorsa degli attentatori? Rivolgersi a Bruxelles in cerca d’aiuto? Bush, «Gabbo» e ora il Papa: al Viminale preferiscono rinunciare ad ipotizzare interventi che si potrebbero delineare e dunque consigliano in anticipo di evitare l’esplodere di possibili rischi. I poliziotti potranno forse anche ringraziare. Ma i cittadini cosa devono pensare? Che davvero l’Italia è ormai un Paese a sovranità limitata?

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