Davvero: bello schifo di Olimpiadi che ci aspetta. Internet, in Cina, rimane censurata anche per i giornalisti occidentali: non puoi neppure accedere al sito di Amnesty international, per dire, o fare una chiave di ricerca digitando «Tienanmen» senza che arrivi la Netpolice a chiederti spiegazioni. I cronisti sono precettati. Il Tibet rimane blindato. Il Dalai Lama pure. Cè uno smog tipo Londra di fine 800 (anche se lunedì le autorità hanno comicamente annunciato che era andato tutto a posto, le polveri erano scese di sette volte in una notte: avranno arrestato anche quelle) e per gli atleti si prepara il contrappasso delle Olimpiadi di Messico 68, quando sugli altopiani laria rarefatta favorì record su record: a Pechino cè chi ha proposto di gareggiare con le bombole, o col berretto dei minatori per vedere almeno il traguardo. Gli unici che si battono il petto sono coloro che per risolvere un problema semplicemente lo negano: i cinesi, pronti a fare incetta di medaglie o perlomeno, gli andasse male, a copiarle.
Morale: abbiamo i danni sportivi e le beffe umanitarie, ed è unoccasione persa per tutti. Spiace dirlo: è persa anche per un governo, il nostro, che sulla questione tibetana e sui diritti civili ha mostrato un profilo neppure pilatesco, neppure ascrivibile alla nenia della santissima realpolitik: siamo tornati una repubblica marinara di modesto cabotaggio mercantile, come se ministero degli Esteri e ministero del Commercio estero fossero la stessa cosa, come se in epoca di celeberrima globalizzazione (anche della politica estera, anche della realpolitik) tutto non dipendesse da tutto, e di diritti umani, di sanzioni, di boicottaggi, si potesse ufficialmente parlare solo in certe zone del mondo. Esportare la democrazia? In Cina, per intanto, hanno importato noi: ma hanno lasciato fuori dalla porta i nostri stupidi bagagli occidentali, ciarpame rimediato dopo un paio di rivoluzioni in Francia e in America.
Lavevamo previsto, e non è che ci volesse una palla di vetro: per il Tibet, in concreto, non si è fatto nulla o ci si è limitati a spiegare ciò che non andava fatto: boicottare le Olimpiadi, per esempio. Il sommovimento pro-Tibet per una volta era mondiale, e certo, cera la stridente pretesa che maratoneti e nuotatori affrontassero moralmente ciò che un organismo come lOnu ha sempre disertato politicamente: ma era qualcosa, anzi era molto. Per la prima volta nella Storia, forse, lidea di boicottare una manifestazione sportiva sarebbe apparsa ecumenica, normale, per niente estremista, uno strumento formidabile per propagandare la democrazia e i diritti umani (non vendibili separatamente) come forche caudine non solo di un presunto progresso umano, ma anche di ogni futuribile import-export. Non era e non sarebbe stata una campagna mirante in particolare a dividere, come piace dalle nostre parti: solo a ridurre il danno, unendo laici e cattolici, destra e sinistra, idealisti e importatori tessili.
Invece? Invece lo schifo che ci aspetta. Hanno vinto i cinesi e probabilmente non hanno mai avuto dubbi su questo: la Cina del resto se ne fotte. Sempre. Ha firmato la dichiarazione universale dei diritti umani, il Patto per i diritti civili e politici, la Convenzione contro la tortura del 1988, la Convenzione sui diritti dellinfanzia del 1992, e se ne fotte della proprietà industriale, dellinquinamento, dei diritti sindacali, dei diritti umani anche basici, della libertà religiosa, della democrazia, del Parlamento Europeo, di tutto. I cinesi sanno che gli Usa non possono rinunciare ai prodotti cinesi a basso costo e sanno che gli investitori cinesi se sparissero farebbero tracollare il Paese; mentre lEuropa, manco a dirlo, ha nella Cina il principale partner commerciale. È proprio per questo che il boicottaggio delle Olimpiadi era perfetto con tutti i suoi limiti: era un fronte simbolico, apolitico, lultima illusione che la politica potesse primeggiare su quello che Giulio Tremonti chiamerebbe mercatismo, e noi pure. Boicottare le Olimpiadi non era il minimo che si potesse fare: era il massimo.
Grandi personalità politiche mondiali perlomeno si sono espresse, qualcuna ha disertato o ha mandato un messaggio forte. Noi? Franco Frattini prima ha detto che non avrebbe incontrato il Dalai Lama per non provocare «gli amici cinesi»: questo nonostante gli Usa avessero decorato il Dalai Lama con la medaglia doro del Congresso, già imitati da Canada, Austria e persino da quella Germania che è il primo Paese europeo per interscambio con la Cina. Frattini, poi, resistendo a qualche pressione interna (in An e nei Riformatori liberali) ha detto che «boicottare le Olimpiadi è inaccettabile», sicché ha spedito in Cina un sottosegretario salvo apprendere che alle Olimpiadi, controvoglia, forse dovrà andarci lui. Controvoglia: anzitutto perché aveva in programma le ferie, in secondo luogo perché le sue attenzioni sono proiettate sul rinsaldare lasse dellAtlantismo: anche se intanto eravamo membri non permanenti del Consiglio di sicurezza dellOnu, di fatto, e non permanenti restiamo; anche se intanto limpegno di aumentare il nostro impegno militare in Afghanistan è davvero tutto da verificare; anche se Barack Obama, di passaggio in Europa, è andato in Francia e Germania e Inghilterra ma non da noi. Ora: dire che gli Usa ci trattino con sufficienza forse è troppo, ma che i cinesi cerchino regolarmente di dettarci lagenda diplomatica e che minaccino regolarmente ritorsioni commerciali (vedi Dalai Lama) è semplicemente la verità. Noi abbassiamo la testa e accettiamo.
Filippo Facci
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