"Non c'è Bestia peggiore di ingiustizia e ignoranza"

Uno pseudonimo femminile per tre autori di un thriller ambientato nella Madrid del 1834

"Non c'è Bestia peggiore di ingiustizia e ignoranza"

In Spagna, Carmen Mola è sinonimo di noir (cruento) e di bestseller. Lo è ancora di più dal 2021, quando ha pubblicato La Bestia, un thriller storico ambientato nella Madrid del 1834 infestata dalla guerra civile fra carlisti e isabellisti, dal colera e da un terrificante serial killer di bambine: il romanzo, che arriva da oggi in Italia, edito da Salani (pagg. 496, euro 19) ha infatti vinto il Premio Planeta, il più succulento di Spagna e, in quell'occasione, Carmen Mola si è svelata per ciò che è veramente. Ovvero Jorge Díaz, Antonio Mercero e Agustín Martínez: tre scrittori e sceneggiatori (maschi). In questi giorni sono tutti e tre in Italia.

Come è nato La Bestia?

«All'inizio della pandemia volevamo scrivere un romanzo attuale, ma non sapevamo ancora come fosse l'attualità... Così abbiamo optato per un romanzo storico e, in particolare, per un thriller storico, sulle orme di Charles Dickens, con le caratteristiche di Carmen Mola: crimini, omicidi, dramma sociale».

Perché proprio il XIX secolo?

«È un secolo speciale per la Spagna, pieno di guerre, anche civili, un momento di decadenza e di epidemie, molto simili a quella che stavamo vivendo. Abbiamo scelto il 1834 perché c'è una epidemia di colera che assomiglia moltissimo a quella del 2020...».

Qual era la situazione storica della Spagna?

«Nel 1834 Madrid era caratterizzata dalla prima guerra carlista di successione al trono, tra chi sosteneva Isabella II, che era ancora una bambina, e chi sosteneva il fratello del re, che riteneva di avere il diritto di regnare e rappresentava l'antico regime. Quindi c'è uno scontro fra vecchio regime e nuovo, con una fazione liberale che tenta di modernizzare il Paese».

Che altro?

«Una grande disuguaglianza, per esempio fra il clero e il popolo - è una città piena di sacerdoti e conventi - e fra poveri e ricchi, divisi fisicamente dalle mura della Cinta. Ci sono grandi turbolenze. Il 1834 è uno spartiacque fra antico regime e modernità».

Tutta questa disuguaglianza, come accade anche oggi, porta a grande violenza.

«La tensione tra fazioni giunge a veri e propri scontri, fino all'uccisione di 80 frati, che è l'episodio fondamentale del romanzo, per noi. Ci siamo chiesti: perché è successo tutto ciò? Da qui ne è nato un grosso lavoro di ricerca storica».

Quanto somiglia la pandemia del 1834 a quella del Covid?

«Molto. Più di quanto immaginassimo. Tutti pensavamo di vivere qualcosa di unico nella storia, invece ci siamo resi conto di come ci fossero molti punti in comune: le misure adottate; l'utilizzo delle fake news; le voci, che allora portarono agli attacchi al clero. In Spagna si è deciso di non mostrare le immagini dei morti del Covid; nel 1834 si decise di non fare suonare più le campane a morto per non lasciare che le persone fossero sopraffatte dalla tristezza...»

A un certo punto scrivete che Madrid era «impazzita». Anche noi?

«Era un'epoca in cui la scienza non riusciva a dare tutte le risposte e si prendevano misure medievali, come estrarre sangue dai malati; oppure si credeva che ci fosse un pozzo in cui erano state lanciate le spine della corona di Cristo e che l'acqua di quel pozzo curasse il colera... C'erano società segrete e rituali per guarire. Del resto, durante il Covid, il presidente degli Stati Uniti ha raccomandato di bere candeggina: cambiano solo i dettagli pseudoscientifici o pseudoreligiosi, e resta il fatto che cerchiamo soluzioni che non esistono».

Chi è la Bestia?

«Fa riferimento a un assassino, così chiamato, che per il popolo è un animale o un essere mitologico, ma è un omicida in carne e ossa. Le sue vittime sono bambine povere, che fa a pezzi. Ma la Bestia rappresenta anche qualcosa di più: la disuguaglianza, l'ingiustizia, temi chiave del romanzo, che è un ritratto cruento della società; l'ignoranza, come i tanti stratagemmi per curare il colera e le poche informazioni diffuse; l'intransigenza, che conduce il Paese alla guerra civile».

L'unica a non avere brutti segreti è la protagonista, la giovane Lucía. Perché?

«Forse abbiamo sbagliato... Avremmo dovuto attribuire qualche lato oscuro anche a lei. I personaggi sono tutti un passo avanti, a modo loro: Diego, il giornalista, che cerca di dare voce all'altra parte della società, quella non importante per i potenti; la duchessa Ana, che è una donna già caratterizzata da quell'empowerment di cui si parla oggi, anche se usa il suo potere in modo negativo; padre Braulio, che vuole lottare per le persone».

Come mai uno pseudonimo femminile?

«Pensavamo che un romanzo a tre firme fosse poco interessante, così abbiamo cercato varie opzioni: a un certo punto, qualcuno ha detto Carmen, e un altro Mola, che vuol dire figo, mi piace...»

È difficile scrivere in tre?

«Per noi non è strano: scrivere sceneggiature è un lavoro congiunto. Abbiamo trasposto il sistema delle writers' room nel mondo del romanzo. Il miracolo è che non ci siamo ancora uccisi fra noi, anzi, ci divertiamo...»

La Bestia diventerà un film o una serie?

«Stiamo parlando con diversi produttori. Se lo sarà, per noi è importante che sia una serie molto ben fatta, che riproduca veramente la Madrid del XIX secolo: non deve sembrare la città dell'epoca, deve esserlo davvero».

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