Limmagine dellEuropa negli Stati Uniti e la visione che gli europei hanno degli americani sono controverse fin dal Settecento. E non poteva essere altrimenti: il Nuovo mondo nasce come filiazione dal Vecchio Mondo che però, in due secoli, da padre dellesperienza americana diviene fratello minore per influenza geopolitica, potenza economica e forza militare. Di recente lo scontro con il terrorismo islamico e la guerra in Irak non solo hanno riproposto la frattura tra le due parti dellOccidente ma anche una profonda distanza tra la vocazione interventista e protagonista dellAmerica e il ruolo attendista delle nazioni europee, specialmente di Francia e Germania, con laccentuazione dei caratteri anti-americani della loro identità nazionale.
La divaricazione tra Europa e America ha origini lontane e profonde. La stessa crescita del mito o sogno americano si è nutrita della critica allEuropa, ai suoi veleni, alle sue lotte intestine, quindi alla sua incapacità di trovare uno stabile equilibrio unitario. Ed è proprio da questa linea di divisione nelle rispettive vocazioni che si sviluppa, da un lato, il trionfo dellAmerica e, dallaltro, l'eclisse dellEuropa. Il merito di Massimo L. Salvadori con il suo ultimo lavoro dedicato a un terreno finora inesplorato in Italia, LEuropa degli americani. Dai padri fondatori a Roosevelt (Laterza, pagg. 582, euro 45) è davere scavato in profondità il modo in cui i principali intellettuali politici, filosofi, storici e anche statisti statunitensi hanno guardato allEuropa dallorigine fino alla Seconda guerra mondiale, rappresentando la diversità della tradizione politica americana rispetto a quella europea. Il risultato della ponderosa ricerca storica non è unovvia giustapposizione di immagini dellEuropa presso gli americani. È piuttosto uninterpretazione dellautocoscienza dellAmerica di fronte allEuropa che smentisce i tanti luoghi comuni circolanti sullAmerica specialmente tra la più banale pubblicistica di sinistra. Il fatto cioè che sarebbero esistite due Americhe, luna positiva fondata sulla tradizione progressista, e laltra negativa che riposerebbe invece sulla tradizione conservatrice che tante volte sarebbe sconfinata in degenerazioni illiberali. Quel che invece emerge dal libro è la realtà di unidentità americana unica, se pure declinata con accenti diversi, e tale da assumere due diverse direzioni di sviluppo nei confronti dellEuropa: «Luna aveva la sua espressione nel senso della comune appartenenza del Vecchio e del Nuovo Mondo alla civiltà occidentale; laltra invece nella predominante persuasione che questi mondi non solo fossero diversi, ma si contrapponessero in materia di etica, politica e organizzazione sociale, nellidea che lAmerica rappresentasse una nuova Terra Promessa per tutti coloro che avevano voltato le spalle allEuropa».
Ha ragione Salvadori nel sottolineare limportanza che nello sviluppo della storia americana ha avuto lidea, diffusa non solo tra gli intellettuali ma anche nella più larga coscienza nazionale, che lesperimento della nuova comunità americana, e quindi la nascita degli Stati Uniti federali, avesse qualcosa di sacro che ne sanciva la diversità e leccezionalità rispetto a tutte le precedenti esperienze nazionali europee. Da cui la convinzione che si fosse dato luogo a un sacro esperimento con la creazione di una specie di nuova Gerusalemme che conferiva agli americani lidea di una loro superiorità e limperativo di una missione loro affidata. Quella missione, o destino, che dapprima si è compiuta con lavanzamento da Est vero Ovest della frontiera per la conquista dellintero continente, e poi è stata proiettata dallorizzonte territoriale a nuovi orizzonti politici, economici e forsanche spirituali sullintero globo.
Il manifestarsi della frattura tra Europa e America può suddividersi in quattro diversi periodi che cominciano con la contrapposizione tra una positiva rivoluzione americana che dà vita alla nuova nazione e la rivoluzione francese, rapidamente degenerata in guerre, divisioni e dittature. NellOttocento, poi, quel che divide lo spirito americano dalleuropeo è, da una parte, la fiducia illimitata nel laissez faire e nellindividualismo che sono allorigine dellimpetuoso sviluppo industrialista e capitalista alla fine dellOttocento e, dallaltra, lattenzione alla riforma sociale che percorse in una qualche maniera i diversi Paesi europei. La terza fase, nei primi decenni del Novecento, è caratterizzata dalla svolta degli Stati Uniti rispetto al resto del mondo. Il presidente Woodrow Wilson rompe con lisolazionismo (specialmente nei confronti di quellEuropa da cui il primo presidente George Washington aveva ammonito di tenersi lontani), entra nella Grande Guerra contro gli imperi centrali e prospetta con il progetto della Società delle nazioni un nuovo ordine internazionale basato sullinterdipendenza e il diritto. Ma gli europei respingono labbraccio americano e si rinchiudono nel loro continente con le tragiche conseguenze delle dittature di destra e di sinistra che si installano in quasi tutta Europa. La quarta fase si protrae fino alla Seconda Guerra mondiale e vede gli Stati Uniti rivendicare la loro diversità e superiorità nei confronti dellEuropa più che mai travagliata dai mali interni. Una superiorità che è declinata dallex presidente Herbert Hoover con lauspicio di un ritorno allisolazionismo per coltivare il liberalismo e lindividualismo, e dal presidente Franklin D. Roosevelt come impegno e responsabilità statunitense di fronte allintero mondo. Il 20 gennaio 1945, il presidente, che sarebbe morto dopo dodici settimane senza vedere la fine di quella guerra in cui era voluto entrare per difendere la libertà occidentale contro il totalitarismo nazista, enunciò la nuova filosofia che doveva guidare lAmerica non solo nei confronti dellEuropa ma di tutto il mondo: «Oggi in questo anno di guerra abbiamo imparato quattro lezioni... Che non possiamo vivere isolati, in pace; che il nostro benessere dipende da quello di altre nazioni. Abbiamo imparato che dobbiamo vivere come uomini e non come ostriche...
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