Non solo Giorgia, nasce la classe dirigente conservatrice Fdi

Al di là dei ministri, alcuni dei quali esterni al Parlamento, comincia a formarsi giorno dopo giorno una rete dirigenziale di stampo conservatore che sta reggendo l'impatto alla soglia di metà legislatura

Non solo Giorgia, nasce la classe dirigente conservatrice Fdi
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Certo, la pagella di fine anno della compagine governativa e parlamentare di Fratelli d'Italia non è del tutto immacolata. Non sono mancati incidenti di percorso dovuti a inesperienza o avventatezza: sfuriate contro il capo dello Stato rimangiate con un atto di contrizione, dichiarazioni sopra le righe che hanno richiesto laboriose rettifiche. Nulla di fronte al pasticcio che aveva aperto il 2024 con lo sparo scellerato del deputato Pozzolo al veglione di Capodanno.

All'interno di Fdi, messo alla prova dall'esperienza governativa, diventa difficile per big e quadri intermedi tenere il passo della presidente, Giorgia Meloni, che ormai si muove con successo su scenari planetari. Tante immagini iconiche ne hanno fotografato le affermazioni internazionali, dal bacetto di Biden sui capelli al «She's fantastic» urlato da un entusiasta Trump, dagli abbracci con Zelenski ai complimenti di Elon Musk. Ma una classe di governo, per essere credibile, non può limitarsi a sfruttare la scia della numero uno. Del resto, Fratelli d'Italia non si sarebbe riconfermato primo partito italiano alle Europee con quasi il 29% senza una struttura robusta che parte da Palazzo Chigi e si irradia sul territorio.

Al di là dei ministri, alcuni dei quali esterni al Parlamento, comincia a formarsi giorno dopo giorno una rete dirigenziale di stampo conservatore che sta reggendo l'impatto alla soglia di metà legislatura. Il caso più eclatante è quello di Raffaele Fitto: Fdi non ha dovuto pescare qualche professore o banchiere della società civile per esprimere il nuovo vicepresidente dell'Unione europea.

Con l'aumentare del numero degli eletti, un partito nato tra pochi intimi è stato obbligato a darsi una forma: 118 deputati, 66 senatori, 24 europarlamentari e 157 consiglieri regionali formano un esercito non lontano dai grandi partiti di massa dagli anni Settanta. Ed ecco quindi la scelta di affidarsi a un misto di figure esperte ed emergenti, con un occhio alla continuità in vista delle prossime scadenze elettorali. A Palazzo Chigi il fortino è presieduto dai sottosegretari Giovanbattista Fazzolari ed Alfredo Mantovano, complementari per caratteristiche politiche. Il primo vigila sul programma e la comunicazione, l'altro cura con la sua impenetrabile discrezione i rapporti con l'intelligence e il mondo cattolico. Anche la recente sostituzione di Fitto al governo è stata nel segno dell'esperienza: anziché un outsider, la Meloni ha puntato sulle sei legislature di Tommaso Foti, un «senior» che ricorda i democristiani di Palazzo, non solo per il modo di vestire con ampi abiti grigi, ma per la lucidità nel gestire l'agenda quotidiana. Con lui agli Affari europei, la premier si sente garantita tanto e quanto con Fitto. In Parlamento, alla guida dei gruppi, si bilancia l'aplomb di Lucio Malan (Senato) con l'irruenza temperata di Galeazzo Bignami, un finto introverso dalla crescente influenza.

Tra le donne, la leader si fida senza riserve della sorella Arianna, capo della segreteria politica, che agli occhi dei dirigenti ha un grande pregio: sulle scelte non esita a consultarsi. In ascesa anche Chiara Colosimo e Sara Kelany che presidiano la giustizia e l'immigrazione.

E per il Quirinale, in prospettiva? Beh, c'è il presidente del Senato Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato. Ma il primo e non crederci è proprio lui: «Io parlo tanto. Per questo farà il presidente della Repubblica Lorenzo Fontana che parla poco...».

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