Non è tutto Argentero quel che luccica. Ma meglio di tanta fuffa da premio letterario

L'attore pubblica un romanzo "generazionale". La prima parte, cattiva, va bene. Poi però...

Non è tutto Argentero quel che luccica. Ma meglio di tanta fuffa da premio letterario
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Volevo recensire Luca Argentero, perché lo vedo ovunque. Non Argentero (non guardo cinema e serie italiane, un mio limite) ma il romanzo. Volevo scrivere che non ho mai capito perché, in un Paese come il nostro in cui si legge poco e male, tutti vogliano scrivere un romanzo. È probabile che, leggendo i mediocri romanzi premiati dai premi di impiegati della narrativa, chiunque dica: «Oh, allora sono uno scrittore anche io». Ma anche qui, in un Paese in cui gli scrittori veri contano meno di zero, tutti vogliono essere quello che sono aggiungendo «e scrittori». In generale non leggono niente di importante, voglio dire: mai ricevuto un sms, una lettera, una chiamata da uno di questi dello spettacolo (tranne da Enrica Bonaccorti).

Volevo scrivere che in ogni caso a volte non hanno tutti i torti, o la ragione è dalla parte del torto. Ultimo esempio della lunga serie di attori, cantanti, presentatori, che a un certo punto della vita se ne escono con un romanzo, è appunto Luca Argentero, di cui volevo scrivere. Titolo: Disdici tutti i miei impegni, edito da Mondadori. Presentato come romanzo generazionale, di denuncia generazionale, e te pareva. Volevo scrivere che l'incipit è brutto, sembra un mix tra Nicola Lagioia e Mauro Corona, con il Raccordo Anulare che è «un anello d'asfalto che circonda la capitale e che come un cappio stretto alla gola ti soffoca lentamente tra le sue spire». Boh, io abito a Roma e non mi sento il Raccordo anulare alla gola.

Volevo in realtà anche scrivere che Argentero tira fuori l'argenteria, è scritto comunque molto meglio di tutta l'italica romanzeria da premio Midcult. Il protagonista si chiama Fabio Resti, è un imprenditore narcisista che vive di sesso e alcol e droga e serie tv, che incappa in una verifica della Guardia di Finanza e finisce agli arresti domiciliari e da lì inizia a riflettere su se stesso. «Dopo qualche settimana inizio a capire meglio gli sguardi tristi e smarriti dei carcerati ripresi in qualche telegiornale o riprodotti da qualche attore talentuoso. Quello sguardo esprime la privazione di un orizzonte». La scrittura tiene, fino a un certo punto, ma essendo la storia tutta qui l'unica cosa che uno spera è che man mano si dilati, si apra e apra baratri senza speranza, senza la solita minestra riscaldata nel piatto del moralismo vitalista. Che l'orizzonte fosse l'infinito senza senso di Leopardi, dove tutto è nulla, solido nulla. Insomma, il protagonista è simpatico all'inizio, quando è stronzo, e diventa sempre più lagnoso e prevedibile. Capisce, nell'isolamento, i veri valori della vita, come quelli che escono cambiati dal Grande fratello insomma. O come quelli che vanno in India e ritrovano se stessi (per propinare il se stesso ritrovato a noi).

Volevo scrivere che qui casca l'asino, tant'è che i valori li trova anche lui proprio in India, con citazioni del Buddha, quando sotto funghi allucinogeni scopre che «siamo tutti interconessi e tutti insieme, nella nostra piccolezza, siamo granelli di sabbia di una coscienza collettiva, insignificanti e indispensabili, ognuno a modo suo. Dio sono io, tutti siamo Dio. Da lui arriviamo e a lui torneremo». Volevo scrivere che io non sono interconnesso a niente, e che le prediche consolatorie, trascendentali o panteistiche sulla vita mi fanno venire l'orticaria.

Volevo scrivere anche che la citazione di Trainspotting 2 su Renton che dice «Scegli un iPhone fatto in Cina da una donna che si è buttata dalla finestra, e mettitelo nella tasca della giacca, fresca di una fabbrica di schiavi del sudest asiatico. Scegli Facebook, Twitter, Instagram, Snapchat e mille modi di vomitare la tua bile» va bene se poi non mi rifili la morale del ritorno a una vita vera, e invece «alla fine scelsi la vita, il viaggio, anzi, la fuga lunga e assurda». Che pare sia proprio quella che farà Argentero, ha deciso di non fare più l'attore. Voglio vedere quanto dura.

Volevo scrivere questo e invece poi ho letto che Cristina Marino ha definito il romanzo «un capolavoro». Sono andato a cercare Cristina Marino e ho scoperto che è la moglie di Argentero. Sono andato su Instagram a vederla e ho scoperto che è una influencer bellissima, scandagliandole anche mani e piedi, perfetti e smaltati.

Certo, per poter dire se sia veramente bella, come dice il neuroscienziato Giorgio Vallortigara, dovrei prima parlarci. Tuttavia io sono più profondo di Argentero ma più superficiale di Vallortigara e mi fido di Cristina Marino, e quindi scrivo che il romanzo di Argentero sì, è un capolavoro.

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