Caro Enrico Mentana, la tua risposta alla mia lettera, oltre a essermi piaciuta, mi ha commosso. Se, come scrivi, mi hai difeso da chi periodicamente invoca la mia lapidazione o almeno la radiazione dall’Ordine dei giornalisti, te ne sono grato. Ma ti confesso di non essermi mai accorto che le aggressioni subite dal Giornale ti abbiano mobilitato contro gli aggressori. Probabilmente, quei tiggì dal cui pulpito l’hai fatto me li sono persi. Forse ero a casa malato. Ma ne dubito. Perché varie volte siamo stati intimiditi e non ricordo una tua arringa a nostro favore. Segno che sono stato ammalato spesso? Ti giuro che godo di buona salute e che le mie assenze dalla redazione si contano su due o tre dita della stessa mano.
Ripeto. Condivido le tue sagge parole e le sottoscrivo. Credimi, però: la categoria si è sempre dimostrata settaria. Tiene alla libertà di stampa solo in alcuni casi, cioè quando viene minacciata quella di certi giornalisti politicamente connotati come progressisti; di quella degli altri (orrore: stipendiati da Berlusconi) non importa nulla a nessuno. La norma è questa. Cito un episodio, illuminante. Il magistrato antimafia Antonio Ingroia, qualche tempo fa, partecipò a convegni di carattere politico e fece delle affermazioni che suscitarono scalpore e polemiche. Un nostro cronista le commentò, e di lì a poco ci fu notificata una querela. Fin qui, passi. Il problema è che il procuratore non ce l’aveva soltanto con l’autore dell’articolo e col direttore responsabile Alessandro Sallusti, ma anche col vicedirettore Nicola Porro, col caporedattore Riccardo Pelliccetti e col caposervizio Marco Zucchetti? Che cosa c’entrino con la faccenda quest’ultimi tre, non è dato sapere. Eppure è andata così. L’intero staff redazionale tirato in ballo per un pezzo sgradito al magistrato. Come interpretare simile azione penale, e sottolineo penale? Tentativo di limitare la libertà di stampa? Intimidazione? È talmente stravagante l’azione intrapresa da Ingroia da lasciare allibiti. Nonostante ciò, i cari colleghi dell’informazione non hanno fatto una piega, non hanno fiatato, quasi che una causa simile fosse routine. La Federazione nazionale della stampa non è intervenuta. L’Ordine neppure. Capirai il motivo del mio stupore nel constatare che, viceversa, per Corrado Formigli (condannato con la Rai a versare alla Fiat circa 7 milioni di euro) si è sollevata l’intera corporazione. Giusto indignarsi e preoccuparsi di un fatto del genere ed esprimere solidarietà nei confronti del conduttore televisivo di La7, ma non si capisce perché le legnate inferte a noi non abbiano scandalizzato alcuno (a parte te, stando alla tua lettera). Già che sono in tema, ti racconto una mia recente disgrazia accolta con indifferenza dalla categoria. Tu sai che, in nome della satira, ne sono state dette di ogni colore a tutti. Mai o raramente qualcuno ha pagato per aver scherzato. Solo io devo pagare. Perché nella mia rubrica, Il bamba della settimana , che va in onda su un’emittente privata, ho sfottuto un parlamentare iscritto all’Arcigay, il quale si era prodotto in Parlamento in un discorso laudatorio sui disertori. Un’orazione dedicata a chi, anziché combattere in battaglia, si volta e scappa. Con tono adeguato alla natura satirica della rubrica, avevo detto: forse all’onorevole garbano i disertori perché quando fuggono mostrano le terga. Ebbene il diritto di satira non mi è stato riconosciuto. Il tribunale civile mi ha ingiunto di versare all’offeso (offeso di che?) 50mila euro. Non ho ricevuto una sola telefonata di un collega che si dicesse amareggiato. Vabbè. Andiamo avanti. Ieri mattina ho letto, come sempre con gusto, il fondo di Marco Travaglio proprio sulla «querelite acuta» da cui sono affetti i detentori di un qualsiasi potere. Sono d’accordo con lui.
Bisognerebbe riformare il sistema che disciplina la diffamazione a mezzo stampa nonché il meccanismo arbitrario dei risarcimenti. Bisognerebbe valorizzare le rettifiche, il diritto di replica e ridimensionare amichevolmente gli indennizzi. Ma il Parlamento se ne frega, perché alla Camera e al Senato è massiccia la presenza di avvocati per i quali le nostre cause sono una manna. Tutto vero. Ma è anche vero che Travaglio, la cui penna ammiro malgrado venga intinta in un inchiostro di colore diverso dal mio, ha sporto un paio di querele contro Il Giornale.
E una l’ha pure vinta: 30mila euro, se non erro. Travaglio comunque è in buona compagnia, inclusa la mia, perché qualche processo l’ho portato a casa. A mio vantaggio. E allora che si fa, oltre a sopportare? Chi ha un’idea, non la nasconda.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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