"Cam caminì spazzacamin... allegro e felice vai per camin". Chi non ricorda il motivetto cantato da Mary Poppins? Per molti di noi lo spazzacamino è una figura leggendaria, che compare solo nelle fiabe, come Mary Poppins appunto. E anche quando se ne riconosce l'appartenenza alla storia - il mestiere svolto dai bambinetti esili che si infilavano nella cappe dei camini per pulirle - lo spazzacamino, forse perchè evocato dai racconti dei nonni, è sempre stato circondato da un'aurea fiabesca. Favola e storia dunque. Per questi due motivi in Val Vigezzo dal 3 al 6 settembre si svolge il raduno internazionale degli spazzacamini. Che non sono più i ragazzini sporchi di fuliggine ma operai e tecnici specializzati. Perchè nella valle Piemontese? Perchè qui nacque l'antico mestiere e all'interno dello splendido parco di Villa Antonia, a Santa Maria Maggiore, esiste dal 2005 il museo interattivo dello Spazzacamino che con attrezzi, pubblicazioni e suggestive testimonianze racconta la storia di questa figura che per secoli ha contrassegnato la vita della Val Vigezzo.
I primi spazzacamini della storia sono stati proprio i vigezzini che troviamo in giro per l'Europa nella prima metà del 1500. Il ruolo dei bambini era fondamentale, con la loro esile corporatura riuscivano a infilarsi sulle cappe e ad assicurare con la raspa e lo scopino, che maneggiavano al buio, a tentoni, con il capo avvolto dalla "caparüza", berretto privo delle aperture per gli occhi, un lavoro particolarmente accurato. Il fenomeno dei "piccoli rüsca", i bambini spazzacamino, coinvolse, particolarmente nei decenni a cavallo fra il XIX e XX secolo, gran parte delle famiglie vigezzine, costrette a "cedere in affitto" almeno uno dei loro figlioli ai "padroni", vecchi spazzacamini che giravano di casa in casa. Centinaia di piccoli di sei, sette anni si trovarono a fare la stagione da settembre ad aprile) e a trascorrere il Natale lontano da casa, tra i fumi, il gelo e le nebbie della pianura o "bassa". I genitori sottoponevano i loro figli a questa dura esperienza pur di avere una bocca in meno da sfamare durante il lungo inverno. Era, quella dei piccoli rüsca, una vita di fatiche, privazioni e sofferenze poiché i loro padroni, salvo rare eccezioni, erano crudeli e non gli risparmiavano i maltrattamenti. Li costringevano a un lavoro massacrante e addirittura a digiunare per impedire che si irrobustissero, col rischio di non entrare più nel camino. Spesso, per mangiare, i poveretti erano costretti ad elemosinare una pagnotta, un piatto di minestra, i ritagli del salame e le croste del formaggio nei negozi.
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