Il nucleare è una necessità non una questione di fede

Il ministro Scajola insiste sul nucleare. Il presidente albanese Berisha è disposto a costruire dalle parti di Tirana le centrali che servono agli italiani. È la globalizzazione, bellezza! Non vuoi le centrali nel cortile di casa tua? Bene, le costruisce per te, nel suo giardino, il tuo vicino di casa. La discussione sul nucleare rischia di diventare surreale. Ho l’impressione che gli italiani siano interessati al tema quasi quanto lo sono stati al dibattito parlamentare sull’emendamento pro Rete 4. Pochi ricordano che la vittoria degli antinuclearisti nel referendum dell’87, fu netta ma la partecipazione fu scarsa, circa il 40% degli aventi diritto. Mi sono fatto l’idea che se si rivotasse avremmo un risultato diverso, malgrado gli «anti» e i «pro» continuino a criminalizzarsi reciprocamente.
Le discussioni televisive di questi giorni e di queste notti sono accese quasi come allora. È tutto un susseguirsi di catastrofismi. C’è chi dice che siamo troppo prigionieri dei combustibili fossili, che la dipendenza dal petrolio è economicamente insostenibile, che un paese così non regge a lungo e tanto meno può puntare sulla crescita, infine che il petrolio sta finendo e che fra un tot di anni, neppure tanti, forse saremo ancora vivi tutti noi, la terra resterà a secco di oro nero. Da qui la scelta del nucleare.
Gli oppositori sostengono il contrario. Che quello che sta finendo è l’uranio, che se tutto il mondo andasse a centrali in due decenni non ci sarebbe più possibilità di alimentarle, che le centrali di quarta generazione sono un’utopia e dovremo costruire in Italia quelle di terza che sono ancora rischiose, che il sole e il vento sono il nostro futuro. I nuclearisti invece dicono che il sole e il vento vanno bene ma non bastano, che le centrali sono ormai sicure, che ce ne sono tante in Francia (e, come abbiamo ricordato all’inizio, fra un po’ anche in Albania), quindi rischio per rischio tanto vale farle anche qui.
Tutti e due i contendenti sostengono che ci vogliono dieci-quindici anni per fare le nuove centrali, quindi per gli uni è bene cominciare subito, per gli altri tanto vale rinunciare. Una discussione che ha tutte le caratteristiche di diventare infinita.
Il cittadino normale, normalmente impaurito, regolarmente vessato dal caro-benzina, indispettito dalle bollette elettriche, non sa che pesci prendere. Paga e sta zitto per il timore che una nuova centrale gli scoppi all’angolo di casa, oppure non sta zitto e chiede a gran voce il nucleare perché non vuole morire di petrolio? Intanto, lo scommetto, si stanno già allenando «quelli del territorio», cioè i professionisti del «no» pronti a fare barricate se le nuove centrali, quante?, verranno costruite vicino a casa loro. Salirà la tensione, rinascerà un partito ecologista che era fortunatamente morto, la protesta troverà un nuovo mostro contro cui battersi.
È questo uno di quei momenti in cui anche un democratico come me, pensa che la democrazia sia un lusso da non affidare nelle mani di ciarlatani, ecologisti veri o presunti, politicanti resi esperti dopo una rapida consultazione di Google, giornalisti in cerca di audience. C’è qualcuno in questo paese che sa come stanno le cose? Lo si consulti e ci si faccia dare un parere vincolante. E poi chi deve decidere, decida. Se sbaglia lo impiccheremo, metaforicamente parlando. E soprattutto, visto che ci vogliono decenni per costruire una centrale, decidiamo subito dove farle. L’idea che l’Italia possa un giorno diventare una gigantesca Chiaiano è francamente insopportabile.

Non metterei a referendum una questione di fede e, per come si stanno mettendo le cose, dire sì o no al nucleare rischia di diventare una Chernobyl delle ideologie del passato che può avvelenarci il futuro.
Peppino Caldarola

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