NUOVE BANDE E SOLITI SALOTTI

Se anche fosse vero un quarto solo delle cose che sono emerse in relazione all’arresto di Gianpiero Fiorani, l’ex capo della Banca popolare italiana, l’ammaliatore della Bassa, saremmo in presenza non di finanzieri ma, diciamo così, di banditi. Si tratta di accuse che non hanno neanche la grandezza della colpa, la grandezza del gesto. Sono questioni più vicine alla ruberia di polli, polli di altissimo valore, ma pur sempre polli.
Non vogliamo, ovviamente, fare nessuna difesa d’ufficio come, del resto, non abbiamo mai fatto. Abbiamo sempre registrato i fatti relativi a queste vicende e lo facciamo anche in questa occasione. Quello che vorremmo dire con chiarezza è che questo arresto nulla cambia di ciò che abbiamo pensato e pensiamo su quanto fu detto quando furono iniziate le manovre per cambiare la proprietà del Corriere della Sera. Fu detto che si toccava la libertà di informazione italiana. Questo non era e non è vero. Si operava solo all’interno del mercato secondo le legittime pretese di alcuni di scalare qualcosa che era posseduto da altri. Punto e basta.
Lasciamo perdere le modalità con le quali anche in questa occasione si è voluto spettacolarizzare un fatto di giustizia. Certamente, come ricordato ieri su questo giornale da Nicola Porro, non ricorrevano le tre circostanze fondamentali per mettere in carcere Gianpiero Fiorani: inquinamento delle prove, possibilità di fuga, reiterazione dei fatti. Di questo e del rapporto media-magistratura abbiamo parlato abbondantemente.
Quello che dispiace enormemente è che nel nostro Paese, dove Dio solo sa quanto ci sarebbe bisogno di una finanza e di gruppi di potere diversi da quelli esistenti, un gruppo che si proponeva come finanza «alternativa» si sia rivelato quello che dai primi accertamenti è emerso: un gruppo di scarsissima consistenza.
E francamente ci dispiace anche perché saremo sottoposti (il tutto è già cominciato) a un bombardamento di richiami etico-morali da parte di un gruppo di persone che forse pensano anche di essere stati concepiti senza peccato. Cioè, questo fattaccio sarà identificato con la dimostrazione che in Italia è bene che la finanza e il potere, anche giornalistico, rimangano dove sono. Questa è la cosa che ci dispiace di più. Perché sappiamo che non è vero che è bene che tutto rimanga così com’è. E non perché questo gruppo di potere finanziario-giornalistico-istituzionale abbia delle colpe o agisca nel male. Ma per il più semplice fatto che sarebbe auspicabile che non fosse solo.
Ci viene in mente quello che successe con Tangentopoli, dove tutto il male fu indicato in una parte del potere politico e dove alcuni soggetti ne uscirono intatti. Oggi non vorremmo trovarci nella stessa situazione nella quale si accusa un gruppo perché ha sbagliato e ipso facto si tramuta questo giudizio giustamente negativo contro chi ha sgarrato con un giudizio positivo per il gruppo di potere esistente. Staremo a vedere cosa succede con la Unipol. In questo caso lo scontro di potere è ancora più evidente perché sotto attacco è il partito dei Ds e in particolare il suo presidente Massimo D’Alema. Sarà interessante per capire un po’ di più nel futuro del Paese vedere come andrà questa vicenda e capire gli assetti che si vanno delineando.


Per noi un pluralismo nel potere economico-finanziario e anche dell’intreccio di questo con tutto il resto è un bene. E tanto più è bene quanto più emerge liberamente. Ma forse qui stiamo cominciando a sognare ed è meglio che ci risvegliamo.

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