TheBorderline chiudono le attività ma il canale resta aperto

Il gruppo chiude il canale YouTube ma resta l'accesso ai video precedenti all'incidente che ha causato la morte del piccolo Manuel

TheBorderline chiudono le attività ma il canale resta aperto
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Il canale YouTube "TheBorderline" cessa le attività, se così si può dire. Dopo avere pubblicato quello che definiscono l’ultimo video, ossia un testo con cui esprimono dolore per quanto accaduto, si accomiatano dal pubblico. C'è un però. Il canale non è stato chiuso, è ancora accessibile, perché i video girati precedentemente sono un concentrato di sponsor, sponsorizzazioni e pubblicità. L’incidente che ha proiettato i Borderline verso la notorietà a cui tanto ambivano non è sufficiente a fermare la macchina del guadagno che fa tanto comodo a Google, agli sponsor e – il dubbio resta fino a prova contraria – agli stessi youtuber.

Il canale YouTube dei Theborderline

Gli ideatori del canale lo definiscono (parole loro) un metodo per offrire ai giovani un intrattenimento con uno spirito sano. Si potrebbe discutere a lungo su quanto sia sano rimanere 24 ore su una zattera o 50 ore all’interno di una scatola di cartone, ma sarebbe necessario leggere trattati di psicologia e sociologia per farsi un'opinione ragionata.

Con l’ultimo video pubblicato tre giorni fa (ma prodotto il 14 giugno) i TheBorderline hanno annunciato la fine delle attività, lasciando però i video in bella mostra, perché ogni click si trasforma in denaro. Le aziende, i brand e i professionisti che hanno sponsorizzato la realizzazione dei video ancora online non hanno preso le distanze, sembra quasi che l’eco mediatica generata dalla tragedia in cui il piccolo Manuel, 5 anni, ha perso la vita sia una ragione per monetizzare: più click, più condivisioni, più visite e più denaro.

Tutto ciò farebbe comodo anche a YouTube che non oscura il canale, nonostante le richieste ricevute, e che ha impiegato giorni prima di annunciare (cosa successa soltanto il 20 giugno), di avere tolto i contenuti pubblicitari dai video. Ovvero i filmati non sono più interrotti dagli spot ma questo esula dalla pubblicità presente nei video, quella in cui appaiono i negozi in cui i ragazzi entrano, i prodotti che consumano durante le riprese, e via dicendo.

Cosa insegna tutto ciò

Tenendo i video online, si concorre a creare emulatori e si mostra la faccia peggiore di chi, contando sui click, vuole mungere mamma YouTube fino a quando l’oblio avvolgerà i Borderline, magari perché soverchiati da un nuovo movimento di giovani annoiati capace di attirare maggiore audience.

La logica degli sponsor è persino lapalissiana: poiché hanno pagato cercano di liposuggere fino all’ultimo centesimo, fino all’ultimo click. Se YouTube permette ciò non deve essere una cosa tanto astrusa, checché ne dicano buon senso ed empatia. Qualcuno guarda i video, qualcuno penserà che la fine dei TheBorderline ha lasciato uno spazio libero per chi vuole ambire a ritagliarsi quella celebrità che sul web è tanto repentina quanto effimera. E non c’è niente di male, apparentemente, perché YouTube lo consente, le persone guardano i video, li commentano, li condividono e – anche se non in modo del tutto consapevole – generano guadagni.

Poco importa perché un canale è famoso, l’importante è che faccia discutere. Allora, o abbiamo un problema con la realtà delle cose, oppure non ci poniamo le domande giuste o ignoriamo le risposte se non ci piacciono.

Ognuno è libero di aprire un canale YouTube e usarlo per fare passare il messaggio che meglio crede, questo non significa che Alphabet (Google) debba lasciarlo aperto anche quando il messaggio è sbagliato, ma non abbastanza per cozzare contro le

linee guida, che si limitano a escludere ciò che incita all’odio e alla violenza senza però definire appieno cosa rientra nell’una e nell’altra categoria, a meno che non coincida con la definizione letterale dei termini.

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