Quelle bare hi-tech per musei e vip: "Un viaggio esclusivo fino all’altro mondo"

Berlusconi, Doris, Squinzi e Del Vecchio sono solo alcuni tra i famosi che li hanno scelti. Feretri esposti al Guggenheim e clienti famosi. "C’è chi lo ha voluto con pezzi di meteorite"

Quelle bare hi-tech per musei e vip: "Un viaggio esclusivo fino all’altro mondo"
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Se, come diceva Foscolo, la morte pareggia tutte le erbe, a Caravaggio, comune di 16mila anime in provincia di Bergamo, regala l’occasione per distinguersi. Che sia un cofano, un’urna cineraria o uno scrigno polivalente, qui l’ultimo biglietto da visita è qualcosa che deve lasciare il segno. Indelebile, distinguibile e rappresentativo, il feretro è l’impronta digitale da consegnare all’eternità, un abito su misura da confezionare quando si è ancora in vita. Per se stessi, per il defunto e anche per gli animali. Nella terra natìa di Michelangelo Merisi, c’è un’eccellenza del Made in Italy in un settore che non ti aspetti, l’unico che non conosce la fine. Così come Caravaggio lavorava su tela, qui le maestranze, tra ebanisti e falegnami, da oltre vent’anni lavorano il legno. Dall'assemblaggio delle scocche al carteggio, dalla levigatura alla lucidatura: tutto viene fatto rigorosamente a mano. Dal realismo pittorico al realismo artigianale che guarda la morte in faccia così bene che non ha paura di accostarle concetti come bellezza e design.

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Silvio Berlusconi, Ennio Doris, Giorgio Squinzi, Leonardo Del Vecchio: in Italia personaggi illustri hanno terminato la loro esistenza dentro una delle bare prodotte dall’imprenditore 50enne Paolo Imeri, titolare dell’omonima azienda che a oggi ha depositato oltre 20 brevetti e che produce qualche migliaio di realizzazioni all’anno di arte funeraria. Non per nulla, una delle provocazioni di Maurizio Cattelan, il cadavere-manichino di John Fitzgerald Kennedy esposto tra gli altri al museo Guggenheim di New York, riposa dentro un feretro della sua azienda.

“In America le bare vengono fatte in metallo e non rappresentano la persona. Noi diamo al cliente un'emozione, un pezzo d'arte, che ha un'eleganza senza tempo, sono mobili d’arredo disegnati dal designer più bravo al mondo che è Tino Resmini, marchio che abbiamo registrato, nonché colui che ha realizzato il feretro dei cardinali Martini e Tettamanzi, di Ayrton Senna, del conte Augusta, di Mino Reitano e di altri personaggi famosi”, ci racconta l’imprenditore mentre ci facciamo largo nel magazzino in cui sono stipati oltre 400 tipi di legno di ogni genere e colore. “Sono l’unico in Italia ad avere il Bubinga, legno purpureo del Gabòn, unico nel suo genere per pesantezza”.

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Chi viene qui a scegliere il cofano funebre (lo chiamano così perché la forma bombata pare richiami il cofano di un’auto) cerca la cura del dettaglio e la rappresentazione del proprio io, non teme la morte e anzi ha un approccio morigerato e sereno. Dalla persona austera a quella eccentrica che vuole pezzi di perla di corno di bue incastonati o interni in alcantara o cuoio bianco, la richiesta naturalmente cambia.

E a volte rasenta l’inverosimile. “Un cliente ha chiesto che la bara fosse realizzata con pezzi di meteorite, un altro che fosse ricoperta di diamanti, un altro ancora di foglie d’oro”. Quando c’è di mezzo la tecnologia poi le vie del Signore diventano infinite.

“Un cliente americano e uno di Mosca avevano paura della morte apparente così abbiamo sfruttato un sistema di monitoraggio del corpo legato allo scambio elettrico del cuore col cervello che in caso di risveglio provvedeva a chiamare dei numeri predefiniti e a intervenire in caso di soccorso”. Per chi volesse a tutti i costi partecipare al funerale, c’è un cofano con una webcam incorporata così da poter seguire da remoto il tragitto del feretro dalla chiesa al cimitero o al tempio crematorio. Dal momento che alcune bare raggiungono anche prezzi elevati, giustificati dall’impiego di materiali unici, l’imprenditore bergamasco ha brevettato anche un antifurto incorporato che grazie a sistemi diversi di tipo GPS in caso di trafugamento lancia l’allarme e avvisa i familiari del caro estinto.

Imeri la prima cassa se la ricorda come se fosse ieri. L’ha presentata a Modena e si chiamava Michelangelo, in onore del suo paese natale, ed era tutta in piuma di noce e madreperla. “La piuma, quella zona del tronco da cui iniziano a partire i rami, è la parte più ostica da lavorare perché ha una figurazione del legno marmorea e nervosa che tende ad avere una memoria di ripiego”, ci spiega in gergo tecnico. Già, perché l’arte è soprattutto cura del dettaglio, persino nelle viti volutamente in titanio o in Ergal (una lega di alluminio e zinco). “Sono rimasto l'unico a fare un prodotto così ricercato - rivendica con orgoglio Imeri, recentemente insignito del premio qualità e design Tanexpo 2024, principale fiera internazionale del settore, mentre ci invita a osservare la pratica dell’ombreggiatura in cui le piccole sagome di legno vengono immerse delicatamente e rapidamente a mano nella sabbia rovente - “la pianta prima di essere lavorata va inumidita, messa su una pressa a caldo a 90 gradi per un giorno, poi gli ebanisti la tagliano - col laser o col traforo a mano - e come se fosse una sartoria fanno un intarsio”.

Tutto ebbe inizio con le fiere di settore, poi per qualche anno una partecipazione strategica a quelle del lusso. “Era l’unico strumento che mi permetteva di far vedere il mio prodotto al cliente finale e di spiegargli quanto spazio di scelta c'era, dal tipo di materiale alle caratteristiche degli interni, è una questione di cultura generale, più hai gli strumenti della conoscenza più sei in grado di distinguere la qualità e di essere in grado di selezionarla”, ricorda Imeri. Da allora ne sono passati di anni, oltre venti, e le agenzie funebri che scelgono le sue opere d’arte sono diventate oltre trecento in tutto il mondo.

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“Chi si rivolge a noi è una persona che ama il bello, vuole distinguersi e non cerca un prodotto di importazione (Romania, Cina, Polonia) che è quello che va per la maggiore e pone minore attenzione alla qualità e al design”. Insomma, in una società in cui l’outlet del funerale la fa da padrone e dove il tabù della dipartita è ancora vivo e intriso di ignoranza, sdoganato soltanto da alcuni rari casi di marketing, c’è una nicchia di maestria che si fa valere in tutto il mondo. “Ho moltissime richieste anche di urne cinerarie per animali, dai cani ai gatti, ma non solo. Un cliente arabo mi ha chiesto uno scrigno per il suo cavallo con due scompartimenti laterali in cui mettere i sigari da fumare in compagnia delle ceneri del compianto quadrupede. Per un giapponese invece ne ho realizzato uno per i suoi due falchi pellegrini”. Tutto è personalizzabile e ogni desiderio è un dovere. Con una sola eccezione, a cui però è impossibile sottrarsi. “Anche se abbiamo dedicato due linee di diversi colori derivati dal libro del Piccolo Principe, una sorta di passepartout che lega tutte le generazioni, quella per i bambini è sicuramente il cofano che non vorrei mai produrre”.

Ma uno che per lavoro è abituato a parlare di morte ogni giorno, chissà se ha mai pensato alla sua. “La mia bara la disegno io, anche se cambio idea ogni anno. Di sicuro la vorrei comoda”. Ma di sicuro, si sa, c’è solo la morte.

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