Robot con volto umano: perché li costruiamo simili a noi (anche se non serve)

Non servono due gambe o cinque dita per costruire un buon robot. Eppure li facciamo simili a noi. Perché? Per rassicurazione, istinto evolutivo e bias cognitivi. Non per efficienza

Robot con volto umano: perché li costruiamo simili a noi (anche se non serve)
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Anche Mercedes-Benz ha un proprio robot umanoide, che lavora già in fabbrica, si chiama Apollo, aggiungendosi alla lista dei robot umanoidi del 2024, Robee di Oversonic, o Figure 2 di Figure AI. Ma non voglio parlarvi di questo. Piuttosto: perché i robot umanoidi sono così umanoidi? Per ragioni psicologiche più che pratiche. Non certo perché avere cinque dita sia meglio che averne sei o otto, o due braccia meglio che averne tre, o che camminare su due gambe sia l’ideale.

In realtà, ciò che siamo, è un lungo processo dell’evoluzione, da non intendere dal meglio al peggio (sugli equivoci riguardo a come viene fraintesa l’evoluzione ne ho scritto sul Giornale in occasione del Darwin Day) ma sul come gli organismi si sono adattati per mutazione casuale e selezione naturale. A un certo punto, seicento milioni di anni fa, un piccolo animale fu all’origine di tutti i vertebrati, e sopravvissero quelli con cinque dita.

Le ali degli uccelli sono sorrette da uno scheletro di cinque dita allungate. Ci sono cinque dita anche negli scheletri delle balene (un giorno sono dovuto intervenire a scuola a parlare con la maestra di mia figlia, la quale le aveva detto delle dita nelle balene e aveva risposto «ma le balene non hanno le dita, hanno le pinne», le ho sventolato davanti una foto di scheletro di balena), sono cinque dita allungate anche quelle che fanno da telaio alle ali dei pipistrelli, e la stessa matematica è basata sulle decine perché abbiamo dieci dita, tutti noi vertebrati che discendiamo da quel piccolo antenato in comune di seicento milioni di anni fa.

Quell’organismo con cinque dita è sopravvissuto per selezione naturale, vale a dire, in competizione con gli altri, era il più efficiente, ma le mutazioni genetiche sono casuali. Il più efficiente tra gli altri, non il più efficiente in assoluto. Il più adatto, neppure il più forte.

Quindi, perché gli ingegneri, che costruiscono robot non a caso, come succede in natura, ma selezionando quello che vogliono, li fanno simili a noi? È per noi stessi, una forma di rassicurazione, e anche una facilità mentale di interazione. Come spiega Giorgio Vallortigara «siamo noi che rispondiamo ai segnali di animatezza fissati nel nostro cervello, selezionati sulla base delle creature che abitano il pianeta, perché preferiamo avere accanto cose vive e meglio se simili a noi».

Nei film le cose vanno diversamente: per esempio in Matrix le macchine robotiche che hanno preso il comando sono mostruose, con tentacoli meccanici e molti occhi, ma dentro Matrix assumono forme umane (mentre per esempio l’agente Smith potrebbe assumere qualsiasi forma). Nel primo Terminator l’androide interpretato da Arnold Schwarzenegger, il T-800, ha sembianze umane per confondersi tra gli altri umani, ma già nel secondo, dovendo Schwarzenegger interpretare un T-800 buono, al cattivo, il T-1000, si dà la possibilità di assumere qualsiasi forma, e quando lo fa diventa molto più inquietante. HAL di Stanley Kubrick non era un robot ma una perfida AI, e per renderlo in qualche modo minaccioso lo ha fatto come un singolo occhio rosso che ti guarda. (Tra l’altro non so se lo sapete, ma spostando di una lettera in avanti ogni lettera di HAL si ottiene IBM…).

La stessa cosa vale per la testa e la faccia. Non c’è nessuna ragione per cui un robot debba avere due telecamere piazzate dove noi abbiamo gli occhi, e non tre, o quattro, o anche dietro la testa (neppure che abbia una testa).

Però si cerca di farli carini, somiglianti a delle persone con cui vorremmo avere a che fare. Che poi per me, che sono misantropo, sarebbero più interessanti delle persone anche se avessero un occhio in mezzo al petto, ma io sono un caso patologico a parte.

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