Darwin day: sette luoghi comuni su Darwin e l'evoluzionismo

Quante volte sentite dire "noi discendiamo dalle scimmie". Darwin non l’ha mai detto, non l’ha mai scritto, e non sarebbe compatibile con l’evoluzione

Darwin day: sette luoghi comuni su Darwin e l'evoluzionismo

Quale occasione migliore del Darwin Day, che si celebra ogni 12 febbraio (Darwin nacque il 12 febbraio del 1809), tradizione iniziata in Inghilterra e negli Stati Uniti fin dalla morte di Charles e poi diventata internazionale, per smentire i luoghi comuni sull’evoluzionismo. Darwin stesso previse che ci sarebbero volute un paio di generazione affinché la teoria dell’evoluzione fosse compresa (non dalla comunità scientifica, ma a livello popolare), e a questo punto direi che fu troppo ottimista. Visto che viene sempre citato a sproposito.

1) Anzitutto il termine “evoluzione”, regolarmente travisato. Ne "L’origine delle specie", il libro che espose la teoria che cambiò per sempre la storia dell’umanità, viene usato “trasformazione”. Ma soprattutto “evoluto” non significa ciò che intendiamo nel linguaggio comune. Stessa cosa nel fraintendimento del darwinismo sociale e del predominio del più forte, frutto dello sgangherato adattamento filosofico di Herbert Spencer (quello che lesse Hitler, per intenderci). A sopravvivere è infatti “il più adatto”, che con la forza non c’entra niente. I dinosauri erano forti, ma non adatti a sopravvivere su una Terra resa invivibile dall’asteroide che la colpì 68 milioni di anni fa. Più adatti, tra gli altri, i toporagni, da cui discendono i primi primati da cui discendiamo noi. Se ci fosse un’apocalisse nucleare a sopravvivere sarebbero senza dubbio i tardigradi, ma anche gli scarafaggi. Per cui ogni organismo è evoluto allo stesso grado se è arrivato fin qui.

2) «Eh, ma è una teoria» si sente dire ancora oggi. Si pensi che all’epoca di Darwin mancavano i fossili, mancava la genetica (un errore di Darwin: non leggere Mendel), mancava una precisa datazione della Terra, e nel corso della vita di Darwin ci furono grandi discussioni su quella sua teoria che metteva tutto in discussione. Si oscillava, nella concezione del tempo, da pochi milioni di anni (già tanto, prima si credeva che la Terra avesse seimila anni) a meno di un centinaio, e il tempo era comunque troppo poco perché avvenisse il processo di selezione naturale da un antenato in comune unicellulare. Darwin non è vissuto abbastanza per vedere tutte le prove che sono arrivate, dalla datazione della Terra (quattro miliardi e mezzo di anni) a quella dei vari fossili di ominidi ai dinosauri fino ai primi cianobatteri. Nessun tassello fuori posto nel puzzle. Finché il DNA e il suo sequenziamento non ha tagliato la testa al toro, o meglio la testa dura dei suoi oppositori. Sull’evoluzione darwiniana oggi si basa tutta la biologia moderna.

3) Quante volte sentite dire «noi discendiamo dalle scimmie». Darwin non l’ha mai detto, non l’ha mai scritto, e non sarebbe compatibile con l’evoluzione, e un biologo di oggi riderebbe del sentire che discendiamo dalle scimmie. Ogni animale ha un antenato in comune con qualsiasi altro. L’antenato in comune tra un uomo e uno scimpanzé, per esempio il nostro cugino più vicino con cui condividiamo il 99% del DNA, è vissuto cinque milioni di anni fa. Dopodiché le specie si sono divise, e non solo in due rami (ci torno al punto 4). Non per altro le grandi scimmie antropomorfe attualmente viventi sono cinque: orango, gorilla, scimpanzé, bonobo e uomo. Non discendiamo dalle scimmie, siamo scimmie. Che a loro volta discendono da altri organismi (vedi esperimento mentale del punto 5).

4) Ancora nei libri scolastici è presente un disegno che avrete bene in mente: uno scimpanzé che segue un uomo peloso ingobbito che segue un uomo un po’ meno peloso con la clava che segue noi, eretti e senza peli e con una pelle di leopardo per coprirci, per rappresentare la linea di evoluzione degli ominidi. Bene, è sbagliatissimo. Lo scimpanzé convive con noi, non è stato lui a diventare Homo sapiens. Dall’antenato in comune con lo scimpanzé, in quei cinque milioni di anni, si diramarono molte specie di ominidi, con diverse delle quali abbiamo perfino convissuto. Se doveste rappresentare graficamente il passaggio di questi cinque milioni di anni sarebbe un cespuglio intricatissimo, non quel disegnino lineare. Telmo Pievani, tra i nostri più importanti filosofi della scienza, non fa che ripeterlo da decenni in ogni conferenza. Eliminate dai libri scolastici quel disegno. Per farvi un esempio: avete presente l’uomo di Neandertal? Non è un nostro antenato. Visse nel Paleolitico medio, come noi, tra duecentomila e trentamila anni fa. Tra l’altro con i Neandertal ci siamo anche accoppiati, visto che ognuno di noi ha circa il 3% di DNA neandertaliano. C’è anche un test per scoprire quanto neandertal c’è in voi, se ci tenete.

5) Richard Dawkins nel suo libro "La realtà è magica" (edito da Mondadori) si inventa un esperimento mentale che vi ripropongo. Prendete la vostra foto, poi sovrapponeteci quella di vostro padre, poi quella di vostro nonno, poi quella del vostro bisnonno, e immaginate di andare avanti così (come dice Dawkins «potete proseguire anche prima che fosse inventata la fotografia: dopotutto è un esperimento ideale») fino a costruire una pila di 185 milioni di foto. Bene, chi vi aspettereste di vedere nella 185milionesima foto? Il vostro 185milionesimo antenato, certamente, ma con quali sembianze? Un ominide? No, il vostro 185milionesimo antenato (vostro e molte altre specie) era un pesce. Idem la vostra 185milionesima antenata (altrimenti non avrebbero potuto accoppiarsi).

6) L’anello mancante, altro ritornello. Proprio per l’esperimento mentale di cui sopra, non c’è nessun anello mancante per il semplice fatto che tutti i fossili di ominidi ritrovate o sono uguali o sono diverse, perché separate da centinaia di migliaia di anni. Ma nessun anello della catena contraddice il precedente.

7) Il libro che ha cambiato la storia umana e della biologia, "L’origine delle specie", uscì nella sua prima edizione il 24 novembre del 1859. Ma molto prima Darwin, ancora giovane, ebbe un’illuminazione, e a bordo sul Beagle, nel 1836, sul suo block notes, scrisse «I think» e sotto fece uno schizzo, una sorta di albero stilizzato, che partiva da un antenato in comune e si diramava come una ragnatela con rami spezzati (tutte le specie estinte) e rami che si dividevano ancora.

È lo schizzo più importante della storia della scienza. Curiosità letteraria: uno dei più grandi scrittori italiani se l’è fatto tatuare sull’avambraccio. Ma non vi dico il tatuatore che me l’ha fatto, sarebbe pubblicità gratuita, e il tatuaggio l’ho pagato e anche caro.

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