Tony Damascelli
Cera una volta lo stadio e cera la partita di pallone. Anche Rita Pavone, oggi di anni sessanta, era diventata celebre per una canzonetta dedicata allargomento. Lo stadio non aveva grandi esigenze: il suo vocabolario prevedeva gradinate, popolari, tribuna centrale, laterale, distinti, parterre, biglietti interi, militari metà prezzo. «Comunale» era la dizione preferita con alcune resistenze: il Filadelfia, il Menti, il Vomero, Marassi, San Siro, in coincidenza con il nome del quartiere e per nulla con i personaggi che hanno illustrato la storia del football. Il Comunale di Torino era nato come Benito Mussolini, va da sé che caduto il regime cadde anche linsegna ma non limpianto, a parte la pista di atletica che da yard venne trasformata in metri. Cerano scaloni di accesso, marmi e statue ornamentali, come a Bologna, lex Littoriale, poi Comunale e oggi DallAra, dove senti il profumo della mortazza, al secolo la mortadella che sfama giornalisti e vip, per gli altri fast food e andare.
Lo stadio dentro la città, era il presepe preferito, come in Inghilterra. Così il Filadelfia e il Comunale di Torino, distanti uno dallaltro cinquecento metri ma divisi da cento derby. Il Fila era davvero il football, strette le porte di accesso, i vetri smerigliati, la struttura in legno, la ghiaia nellantistadio, il profumo non della mortazza ma dellerba appena tagliata sul campo di gioco, lo spogliatoio proprio sotto la scalinata della tribuna, lodore di olio canforato che saliva fin alla tettoia. Così era il Menti di Vicenza, in fondo a un piccolo viale, cerano Farina e Paolo Rossi tra i tifosi; Marassi non era agghiacciante come oggi che è un rossastro robot che assale da lontano, ma come il Fila e il Menti era ed è football immediato, in diretta, a zero metri da quelli che corrono, dribblano, scalciano, sputano ma con le barriere che rispediscono alla zoo, a differenza degli stadi inglesi spogli di qualunque transenna o grata.
San Siro, detto «bausciamente» la Scala del calcio, non era tenebroso come è dagli anni Novanta a oggi, la porta del freddo, segnata dallombra e protetta dalla segatura (oggi proibita) era il suo segno distintivo, come il panettone e la Madonnina. Nessuno parlava di serpentine, se non quelle dei calciatori, il riscaldamento degli stessi non veniva effettuato sul campo ma nello spogliatoio, di spazi ristretti, con panche in legno che però hanno garantito a Milan e Inter di diventare ugualmente grandi e grandiose. Venezia e il suo SantElena ricorda gite turistiche, in motoscafo o vaporetto allo stadio, con brevi fotogrammi da cineforum: il pallone che finisce oltre le tribune, in laguna. Metteva ansia la tribuna stampa del SantElia di Cagliari, altissima, lontanissima, leggerissima. La raggiungevi a tappe, senza ascensore, il maestrale riportava insulti e voci di mamutones.
LOlimpico quello era e quello in fondo è rimasto, se gli togliete la copertura mondiale. Ho detto mondiale? Ebbene sì, qui comincia unaltra avventura meno romantica, basta con il Comunale e il Fila, avanti con il Frigidaire detto Delle Alpi, basta con la porta del freddo a San Siro sù con il terzo anello, più gelido della porta medesima e il tetto a coprire le stelle e la luce. Avanti con Marassi-Ferraris cubo-carcere di color mattonato, ecco Napoli con copertura che va a pezzi e non sono piezze core, maltrattato lo stadio della Vittoria di Bari, occupato dagli sfollati albanesi e sostituito dal lontanissimo e ventosissimo San Nicola patrono della città ma non certo della squadra. Siamo pieni di astronavi spacciate per stadi, da Ancona a Udine, senzanima, senza memoria, come il Del Mare a Lecce. Poi ci sono i residuati bellici, Bergamo e Cremona, Reggio e Treviso, qui si possono ancora ritrovare cimeli di un tempo, non per il rispetto di chi li gestisce ma per lincuria di chi non mette ordine nella proprietà (i municipi).
Il problema non sono gli stadi vecchi, dunque, ma quelli nuovi, moderni, disegnati da architetti, progettati da ingegneri, costruiti da imprenditori che del football conoscono laspetto mercantile e non quello romantico (la storia di uno stadio che cosa è?). Quando Italia 90 rimodernò gli stadi creò uno slogan ad effetto: «Stiamo costruendo un sogno». Quindici anni dopo lo slogan è cambiato: «Stiamo sognando una costruzione». Ci risiamo.
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