Olmert apre a nuovi negoziati per creare uno Stato palestinese

Ehud Olmert rompe due tabù in un giorno solo. Non solo incontra Abu Mazen (Mahmoud Abbas) in territorio palestinese, ma si affaccia anche alla delicata soglia delle «questioni fondamentali». O almeno le chiama con il loro nome. «Abbiamo discusso – dichiara il premier israeliano - le questioni fondamentali che sono alla base per l’istituzione di uno Stato palestinese. Abbiamo deciso di espandere il campo delle trattative per favorire la comprensione reciproca e definire una cornice per procedere alla creazione di uno stato palestinese». A limare quelle parole interpretabili come l’avvio di un negoziato sui cruciali argomenti dei confini, di Gerusalemme e dei profughi ci pensano i portavoce di palazzo. Spetta a loro ricordare che sino alla conferenza di pace sul medio oriente di novembre evocata dalla Casa Bianca il premier israeliano non si spingerà oltre gli accordi di principio e non affronterà accordi concreti per la nascita dello stato palestinese.
Il meccanismo di facciata è chiaro. Da Gerico in avanti bisogna abituarsi alla commedia di Olmert e Abu Mazen pronti ad incontrarsi ad ogni piè sospinto, ma solo per discussioni di principio. Ma sia Olmert, sia Abbas, sia la cabina di regia di Washington, sanno bene che i principi a questo punto servono poco. Per far arrivare a Washington i sauditi , per imprimere una svolta alla questione israeliano palestinese e alla tormentata politica mediorientale bisogna partire da fatti concreti.
La parola d’ordine è, dunque, mettere a punto ogni dettaglio della trattativa prima di novembre e svelare successi e passi avanti nelle settimane precedenti la conferenza. Fino ad allora Abbas continuerà a definirsi insoddisfatto, Olmert a dimostrarsi cauto e guardingo. Nel frattempo il lavoro procederà a ritmi serrati. Per capirlo basta ascoltare le parole del premier israeliano. «Il nostro mutuo impegno è realizzare la visione - condivisa con il presidente George Bush - di due stati per due popoli che consenta di vivere fianco a fianco in pace e sicurezza. Vogliamo raggiungerlo il prima possibile». In nome di quel «prima possibile» Olmert regala ad Abbas il primo vertice in terra palestinese. In nome di un dialogo assetato di immagini plateali sfila tra il nugolo di militari israeliani e agenti dello Shin Bet incaricati di garantire concretezza ai controlli di facciata della guardia presidenziale palestinese. Che le milizie di Abu Mazen non siano in grado di prevenire eventuali mosse dei gruppi armati lo ammette, prima del vertice, lo stesso premier palestinese Salam Fayyad. La dichiarazione rende automaticamente impossibile il ritiro israeliano da qualsiasi centro della Cisgiordania e libera il presidente dalla necessità di ottenere un simile risultato durante il vertice. Del resto un attentato anche di lievi dimensioni firmato da un gruppo fondamentalista basterebbe a strappare il sottile negoziato intessuto sotto gli occhi vigili di Washington.
Meglio dunque, anche per Abbas, lasciare i soldati e i servizi di sicurezza israeliani là dove sono. Il presidente palestinese sa del resto di dover temere le mosse di un Hamas sempre più inviperito per l’isolamento politico in cui si ritrova dopo la presa di Gaza.

«Nessuno di questi incontri porterà alcun beneficio per il popolo palestinese, han detto ieri i portavoce dell’organizzazione liquidando i colloqui di Gerico come un «tentativo di abbellire la terribile immagine dell’occupante israeliano».

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