Ignazio Mormino
Luniversità di Milano comincia a celebrare gli uomini che lhanno fatta crescere. Domani, nellaula magna di via Festa del perdono, renderà omaggio (nel centenario della nascita) al professor Emilio Trabucchi, tra i primi a comprendere e a sviluppare la scienza farmacologica in Italia. Nato a Verona, laureato a Padova, Trabucchi ottenne la cattedra milanese, dopo ventanni passati a Modena, nel 1947.
Si potrebbe dire che apparteneva a una famiglia di «professori»: due dei suoi fratelli, Alberto e Cherubino, insegnavano diritto e psichiatria. Si deve aggiungere che, a Milano, egli portò la farmacologia su strade assolutamente nuove, parlando per esempio di medicina sperimentale e di trapianti dorgano, e parlandone da pioniere.
Nel mondo universitario si sostiene, a torto o a ragione, che una grande «scuola» si riconosce dal numero di allievi che il maestro ha messo in cattedra. Nel caso di Trabucchi questo numero è altissimo: almeno venti, dicono i bene informati. Non solo farmacologi ma anche chirurghi, pneumologi, clinici, medici. Forse è stato lultimo «barone». Le sue designazioni venivano sempre approvate dalle facoltà mediche italiane.
È impossibile ricordare tutti i «promossi». I primi nomi che vengono alla mente sono quelli di Rodolfo Paoletti, Paolo Mantegazza, Silvio Garattini, Luciano Martini, Enzo Chiesa, Carlo Grassi, Giuseppe Pozzuoli: alcuni noti ormai a livello internazionale. Portano il celebre cognome anche due suoi nipoti (non «beneficiati» dallo zio): Marco, cattedratico a Roma, ed Emilio, cattedratico a Milano.
Il professore, ricordano i suoi allievi, visse francescanamente e morì povero nel 1984.
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