Omicidio Procacci, il giudice: "Il movente? Da cercare nell'educazione"

La sentenza con cui Pasquale Procacci è stato condannato a 30 anni per la morte della sorella: «Sin da piccoli gli era stata insegnata la condivisione delle risorse economiche, ora sentiva minacciata l'unità del patrimonio e la sua continuità in ambito familiare»

«Il movente affonda le sue radici nel modello educativo ricevuto dal padre, il quale, secondo quanto riferito dall'imputato, aveva loro inculcato "l'idea del tutto, della famiglia"». Lo scrive il giudice per l'udienza preliminare Marina Zelante nelle motivazioni della sentenza con cui ha condannato a 30 anni di reclusione Pasquale Procacci, accusato dell'omicidio premeditato della sorella Maria Teresa, uccisa nella notte tra il 27 e il 28 aprile 2009. «Sin da piccoli, in sostanza, i due fratelli erano stati educati a una condivisione delle risorse economiche, a un'oculata gestione del denaro e a una relativa destinazione alle società del patrimonio familiare, scrive Zelante secondo cui la vedova, uccisa per liti legate alle gestione in comune dei 10 milioni ereditati dal padre anni prima, «era sicuramente poco oculata nella gestione delle sue risorse finanziarie e facilmente avvicinabile da persone prive di scrupoli interessate al solo denaro dalla stessa posseduto».

Insomma, prosegue il gup, «l'imputato percepisce, dunque, non solo il rischio di un progressivo depauperamento di una solidità economica» che aveva in comune con la sorella, «ma intravede una minaccia per l'unità del patrimonio e la sua continuità in ambito familiare». Per Pasquale Procacci, al momento dell'omicidio, il patrimonio «in sostanza, è della famiglia Procacci e tale deve restare nelle intenzioni dell'imputato».

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