Totalmente incapace di intendere e volere oppure «solo» seminfermo? La battaglia al processo per l'omicidio di Fiorenza Rancilio, di cui è accusato il figlio Guido Pozzolini Gobbi Rancilio, si consuma sulla salute mentale dell'imputato. Ieri davanti alla corte d'Assise, presieduta dal giudice Antonella Bertoja, avvocati e consulenti si sono scontrati proprio su questi aspetti, che potrebbero fare la differenza tra condanna all'ergastolo e assoluzione (e sulla possibilità o meno per l'imputato di ereditare il patrimonio della madre).
Fiorenza Rancilio, 73 anni, ereditiera di una nota dinastia di immobiliaristi, era la presidente della fondazione intitolata a suo fratello Augusto, rapito dall'Anonima sequestri nel 1978 a 26 anni e ucciso durante un tentativo di fuga. È stata trovata morta nella sua casa di via Crocefisso il 13 dicembre 2023, uccisa, per l'accusa, dal figlio 37enne che l'ha colpita alla testa con un manubrio da palestra. L'uomo risponde di omicidio volontario aggravato. In aula i consulenti psichiatrici hanno esposto tesi opposte. Quello del pm Ilaria Perinu, lo psichiatra Raniero Rossetti, ha riscontrato in Rancilio una incapacità totale di intendere e volere al momento del fatto. L'uomo, che si trova in una Rems, è infatti affetto da anni da «schizofrenia paranoide» con pensieri deliranti e persecutori «contro i familiari e la madre che lui odiava e voleva eliminare». Dello stesso parere Pietro Pietrini, l'esperto incaricato dalla difesa rappresentata dall'avvocato Francesco Isolabella. I familiari della 73enne uccisa sostengono una il contrario. Si sono costituiti parte civile nel processo il fratello della vittima, Cesare Rancilio, e lo zio Ermanno Camisasca, con gli avvocati Federico Cecconi e Salvatore Pino. Per i loro consulenti, i professori Stefano Ferracuti e Giuseppe Sartori, il 37enne non era incapace di intendere al momento del delitto. Gli esperti propendono per «una capacità di intendere e di volere non totalmente ma grandemente scemata tale da poter ipotizzare una seminfermità». Questo perché Rancilio «ha ripulito minuziosamente le tracce di sangue dappertutto, dimostrando un grado di controllo che stride con lo stato di disorientamento descritto nella consulenza della Procura e di avere compreso il disvalore di quello che aveva fatto». L'altro elemento che metterebbe in discussione la totale incapacità è l'assunzione di alcol la sera dell'omicidio. Gli psichiatri sottolineano che la schizofrenia era «ben contenuta» con i farmaci e che a far superare «la soglia» sarebbe stato l'alcol bevuto «volontariamente» prima dell'aggressione.
L'assunzione di alcol è però solo riferita dai testimoni, non certificata. Al Policlinico infatti, dove il 37enne è stato ricoverato, non sarebbe stato eseguito il test tossicologico. Al termine dell'udienza la Corte ha deciso di non disporre una perizia psichiatrica super partes.
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