"Ora i legali si trasformino in negoziatori. È una scienza da insegnare all'Università"

Angelo Monoriti è docente di Negoziazione alla Luiss: "Lo chiede anche la Cassazione: agli avvocati serve una competenza specifica"

"Ora i legali si trasformino in negoziatori. È una scienza da insegnare all'Università"

Negoziare, anche in mediazione, trovare un accordo. Una specie di mission impossible nella terra dei Guelfi e dei Ghibellini che si fanno la guerra su tutto. Tempo perso, insomma. Un affronto all'origine della stessa parola, negotium. Cioè la negazione dell'otium, ossia letteralmente «senza tempo da perdere».

Oggi invece la figura del negoziatore sta assumendo sempre di più un ruolo centrale dopo il riconoscimento della Cassazione della figura dell'«avvocato esperto in tecniche negoziali che assiste la parte in mediazione» così come introdotta dalla legge 28/2010. Ciò però non è bastato finora a sublimare la scienza della negoziazione nelle nostre università. Ne sa qualcosa Angelo Monoriti, avvocato esperto in negoziazione e docente alla Luiss Guido Carli: «Per arrivare ad un accordo - scrive Monoriti in un recente articolo pubblicato su ratioiuris.it non ci sono vincitori e sconfitti come in tribunale, dove il diritto stabilisce quale delle due posizioni prevale secondo la regola giuridica». A differenza dell'assunto da cui muove la teoria dei giochi inventata dalla beautiful mind del matematico John Forbes Nash jr («Tutti i giocatori sono razionali»), «gli esseri umani che interagiscono sono prevedibilmente irrazionali, (predictably irrational) per dirla con le parole di Dan Ariely - sottolinea ancora Monoriti - ed è dunque evidente che il negoziatore deve avere una preparazione adeguata anche in termini tecnico-negoziali, volta non a sostituire le parti nel gioco, ma a farle giocare meglio. Del resto, il conflitto quasi sempre non sta nei fatti, ma nella diversa percezione di quegli stessi fatti».

La mediazione sfugge alla logica della contrapposizione perché è un modello di risoluzione dei conflitti diverso da quello della iurisdictio. E dunque perché la mediazione diventi la prima scelta delle parti rispetto al processo in tribunale bisogna fare di più. Cosa? Ad esempio, iniziare a introdurre la scienza della negoziazione come materia obbligatoria nel nostro sistema universitario. «Acquisire una specifica professionalità per condurre una mediazione scrive Monoriti in un altro articolo su ratioiuris.it - non esautora un avvocato dalle proprie funzioni, ma anzi è in grado di offrirgli un nuovo ambito di professionalità». La sentenza n. 8473/2019 (con cui, nel 2019, la Suprema Corte di Cassazione ha riconosciuto la figura dell'avvocato-negoziatore) va letta anche alla luce della differenza che esiste fra il processo e la mediazione. In questo modo, integrando le competenze esistenti, si avrebbe infatti non solo l'effetto di formare «figure professionali nuove» ma si darebbe agli avvocati quella competenza scientifica che è stata (si legge proprio nella sentenza 8473/2019), definita dalla stessa Suprema Corte come la «capacità di comprendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche avanzate». In Italia invece siamo partiti con il piede sbagliato, si direbbe. Questo strumento oggi è però percepito (a torto) come una scorciatoia che va percorsa per forza, senza che le parti ne siano pienamente convinte. D'altronde, come osservato dal professor Giovanni Cosi (L'accordo e la decisione, Modelli culturali di gestione dei conflitti, Utet, Torino, 2017), una «conciliazione obbligatoria è una specie di contraddizione in termini, quasi un ossimoro». La mediazione ridotta a un mero «incontro» su una controversia già delineata sul piano giuridico si trasforma in un nulla di fatto che porta diritti al diritto, cioè ai tribunali.

Non è un caso se la riforma della giustizia recentemente approvata dalla riforma firmata dalla Guardasigilli Marta Cartabia lavori proprio sullo «svuotamento» delle aule giudiziarie attraverso i filtri dell'improcedibilità e dei tempi certi, pena la prescrizione, se parallelamente si lavorasse a svuotare la palude dei processi civili provando a canalizzare alcuni conflitti sulla via della mediazione, il sistema giudiziario ne avrebbe un deciso giovamento.

Il tutto per fare in modo che, pur passando inizialmente da una previsione di «obbligatorietà della mediazione» la mediazione non sia un «processo anticipato» ma una negoziazione che avviene fra le parti, presenti e assistite da professionisti, con costi chiari, soprattutto per l'utente. Tra l'altro, quella della mediazione-conciliazione non è una dinamica sconosciuta alla tradizione giuridica tutta italiana. Il vecchio articolo 1 del codice di procedura civile del 1865 recitava: «I conciliatori, quando ne siano richiesti, devono adoperarsi per comporre le controversie».

Se la materia della negoziazione non verrà presto riconosciuta nelle nostre facoltà di Giurisprudenza e senza l'acquisizione delle competenze delineate dalla Cassazione, dunque, negoziazione e mediazione rischieranno di rimanere un terreno minato. Anzi, l'ennesima occasione persa.

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