«Ora l’Europa finanzierà solo chi rispetta i diritti»

«Ma certo che eravamo in allarme... Pensa che non si siano letti, in Italia e nel mondo, gli appelli di El Baradei per riforme democratiche? Pensa che davvero nessuno si sia accorto di quanto scrivevano i quotidiani egiziani, che sono 300, specie quelli dell’opposizione democratica?». Il nostro ministro degli Esteri, nega con decisione che l’esplodere del fronte sud del Mediterraneo abbia preso alla sprovvista l’Italia e l’Europa. «È da anni e non da qualche giorno che si sollecitavano riforme al Cairo come a Tunisi. Lo facevamo noi, gli alleati europei, gli stessi americani... che poi si sia scelto di non pubblicizzare queste esortazioni mi pare del tutto scontato. Intanto - nota Franco Frattini - perché come sta sostenendo la parte più preparata degli oppositori in Egitto e in Tunisia, la trasformazione deve nascere dall’interno stesso dei paesi, dalla società civile che prende coscienza di sé, ma ancora e soprattutto in quanto si è voluto evitare di dare l’idea che questi movimenti germogliassero in Europa e magari li si imponessero come una nuova forma di colonialismo».
Resta il fatto che ora si devono fare i conti con situazioni per molti versi preoccupanti. O no?
«Questo è evidente. Tanto che credo che tutta la comunità internazionale, a cominciare dalla Ue, debba prendere al più presto una posizione seria e puntuale in cui si chiarisca che il forte anelito di libertà, di rispetto dei diritti civili, della possibilità di manifestare pacificamente, deve trovare applicazione in tutti i paesi del sud Mediterraneo. Del resto è evidente che la globalizzazione ha fatto sì che anche in quei paesi ci si renda ormai conto di cosa succede nel resto del mondo. Le tv, le reti telematiche fanno reclamare interventi. Mubarak ha promesso di farlo... ma deve tradurre in realtà quelle parole. Anche perché la situazione egiziana è davvero preoccupante in questa fase. Visto che in Tunisia l’esercito si è fatto garante della fase di transizione, mentre al Cairo si registrano sparatorie, scontri, decine e decine di morti e se si finisce con l’aprire il fuoco contro la gente si rischia davvero un finimondo».
Faceva riferimento alla Ue: quali i possibili interventi dell’Europa?
«Lo definiremo lunedì a Bruxelles, nel vertice dei ministri degli Esteri che sarà preceduto da una cena, domani sera (oggi; ndr), dei rappresentanti del Ppe che io coordinerò. Credo che il filo conduttore delle decisioni sia quello di mettere in chiaro come occorra passare dalla protesta alla proposta, garantendo sostegni a quei governi che intendano rispettare i diritti civili ed il pluralismo».
Senta Frattini, il fatto è che i finanziamenti o comunque gli aiuti della Ue, almeno fin qui, erano preda dei governi che ne facevano di tutto tranne che garantire libertà e pluralità...
«Quando poco tempo fa, in relazione alla persecuzione dei cristiani nei paesi islamici, avevo proposto non uno slogan, ma una direzione di marcia, e cioè: aiuti in cambio di diritti, i benpensanti della sinistra italiana mi sono saltati addosso... E invece mi pare proprio un suggerimento che si va facendo strada in Europa. E che deve valere per tutti, tant’è che abbiamo cominciato dalla Bielorussia. Non si tratta di chiudere i rubinetti, ma di creare restrizioni per chi diviene responsabile di violenze, di chi conculca la libertà e il diritto delle opposizioni. Certo, esiste la difficoltà di sconfinare in un approccio che può sembrare neo-colonialista e che cerchiamo di evitare, anche perché siamo i primi a esser convinti che ogni paese debba fare da sé e cercare la sua via. Né ci dimentichiamo come il popolo e la società civile possano essere i primi a rimanere stritolati da un possibile braccio di ferro. Ma non possiamo restare con le mani in mano o far finta di niente. Vorrà dire che faremo come con i palestinesi. Quando ci siamo accorti che Hamas intercettava i fondi e li usava per i suoi scopi, abbiamo deciso di procedere senza più intermediari, o al massimo servendoci di qualche ong, facendo direttamente pervenire gli aiuti alla gente».
Il riferimento ad Hamas porta inevitabilmente a parlare del processo di pace in Medio Oriente. Preoccupazione anche in questo campo?
«Molta, inutile nasconderlo. L’Egitto da 20 anni rappresentava un fattore di stabilizzazione per la vicenda nell’intero mondo arabo ed era parte attiva e rilevante nel processo di dialogo tra gli stessi palestinesi. Per questo l’intera comunità internazionale deve auspicare che al Cairo prevalga il senso di responsabilità. Da parte di tutti».
Ma secondo lei esiste o no il rischio che la deriva della rivolta finisca per avvantaggiare un radicalismo musulmano che in Egitto, bene o male, è sopravvissuto a Sadat e a Mubarak?
«È un pericolo reale, anche se non credo alla grande onda islamica di cui si parla in queste ore a Teheran. Che comunque si può evitare se si saprà coniugare al meglio la richiesta di diritti civili con la prospettiva della laicità in quei paesi, come si è fatto in Turchia, e come accade in Algeria dove le migliaia di morti causati dal terrorismo radicale hanno lasciato il segno. Detto questo è chiaro che se invece dovesse prevalere l’integralismo - che è ancora presente e radicato - proprio l’Italia si verrebbe a trovare in prima linea. Anche se mi auguro che questo non avvenga e confido nelle posizioni di chi, come El Baradei, premono per un esito del tutto diverso in nome della libertà troppo spesso vietata».
Ha parlato di possibili rischi per l’Italia. CE ne sono anche da un punto di vista economico?
«Mi auguro di no, e per due ragioni. Intanto siamo amici del popolo egiziano e dei suoi governi, di ogni governo democratico e legittimo, anche perché siamo al primo posto in Europa nell’interscambio con l’Egitto. In secondo luogo credo che gli egiziani per primi siano convinti della necessità di mantenere un forte rapporto col nostro paese.

Non solo perché sono ben un milione l’anno gli italiani che vanno a visitare il loro paese, ma anche perché da anni siamo impegnati nell’evoluzione di rapporti commerciali importanti. Credo - a meno non si scateni il caos - che saranno loro per primi a chiederci di rafforzare un ormai antico rapporto d’amicizia».

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