Come curare il mal di pancia del Pdl? Semplice: mettendolo a dieta. Come ha dichiarato al Mattino, Giuliano Urbani, ex ministro e tra i fondatori di Forza Italia: troppe cene fanno male. Cibare gli elettori con piatti freddi come la formula del 70-30%, rischia soltanto di provocar loro un’indigestione. Dar loro da bere la frizzante polemica sul coordinatore unico, vuol dire ubriacarli. Le ambizioni personali sono legittime ma se portano il Pdl fuori dalla realtà, perdono la loro carica propulsiva e diventano una zavorra. Continuare a interrogarsi sul presunto dopo Berlusconi non significa guardare al futuro, ma trascurare il presente. L’impressione è che la discussione sul partito sia diventata una coperta di Linus per esorcizzare l’incognita di un futuro senza il Cavaliere. Il sogno di Giuliano Ferrara per molti si è trasformato in un incubo, alimentato dalla provocazione del premier alla stampa estera: nel 2013 potrei non ricandidarmi e passare la mano ad Alfano.
Il Pdl racchiude tutte quelle caratteristiche che Berlusconi, con la sua discesa in campo, aveva spazzato via. Qualche volta si ammala di Pd, somiglia alla vecchia politica delle correnti, a un teatrino recitato da vertici e parole, a un apparato della burocrazia interna, facendo rimpiangere quel così tanto vituperato partito di plastica, come è stato bollato Forza Italia.
Insomma, il Pdl rischia di essere un’incompiuta. E non per l’uscita di Fini o per i pretesi gruppi di Scajola. Rischia perché sta diventando un vero partito. L’opposto di quello che Berlusconi voleva, l’antitesi di quello in cui ha sempre creduto. Non a caso Pdl sta per Popolo, e non partito, della Libertà. Non a caso Forza Italia nasce sul carisma del leader. I partiti sono figli di un’ideologia e si sono trasformati in un posto di lavoro. La rivoluzione del Cavaliere è rappresentata dalla demolizione dell’apparato e dalla capacità di snellire il contatto con i cittadini. Berlusconi, quindi, dopo il processo breve realizzi il Pdl breve. Un ritorno all’origine, un movimento di idee, non di uomini. Faccia uscire i suoi dalla tristezza delle beghe interne, imponga loro di non perdere più tempo ad ascoltarsi, ma di cominciare ad ascoltare la gente e i loro problemi. Da parte loro i vari leader del Pdl la smettano di sprecare fiato ed energie per costruire un partito che dopo Berlusconi non avrà più ragione di esistere. Farebbero meglio a concentrarsi su come governare, ad affrontare i problemi reali del Paese, cercando di creare, se ne sono capaci, un carisma.
Pensare che gli italiani possano accettare un ritorno alla fede di partito è un’illusione che i professionisti della politica potrebbero pagare cara.
Chi crede veramente che questi siano gli ultimi giorni di Pompei rischia di fare la fine di Fini, ormai soltanto una poltrona vuota.
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