Milano - Sedici euro e settanta per una pillola. Centosettantasette a confezione. A tanto è venduto oggi dalla EuroClinix il Tamiflu, un farmaco - sottolinea la compagnia - «in grado di trattare i soggetti affetti da influenza suina». In periodo pre influenza il costo della stessa confezione, sul mercato italiano, si aggirava attorno ai 37 euro.
Ecco il business del virus, l’economia da contagio. Un oceano di soldi, un mare di banconote in piena tempesta, scosso da onde capaci di affondare bastimenti imponenti e al tempo stesso di trasportarne altri a velocità incredibili verso i lidi del profitto.
A farla da padroni i colossi farmaceutici, primi fra tutti la svizzera Roche, che produce appunto il Tamiflu, e l’americana GlaxoSmithKline, che produce Relenza: insieme i due medicinali rappresentato quasi l’intera produzione mondiale dell’Oseltamivir, il principio attivo utile contro l’influenza. E visto che anche in tempi di crisi qualche principio economico di base mantiene valore, all’aumentare della domanda il prezzo aumenta; in questo caso schizza verso l’alto, così come le quotazioni azionarie delle compagnie. Da più parti la corsa all’accaparramento degli anti influenzali è stata definita ingiustificata e pericolosa (entrambi i farmaci sono acquistabili solo con ricetta) e considerata effetto di una campagna allarmistica operata dai media: in quest’ottica, il fatto che la stessa Bbc abbia fatto scorta di Tamiflu, non fa sperare in un’inversione di tendenza.
Ma il piatto forte del banchetto del business da virus si chiama «vaccino»: arriverà sul mercato non prima di un mese e già si parla di un giro di affari 10 miliardi di euro. Mentre i politici si affrettano a stanziare fondi, le quattro grandi aziende produttrici dell’antipandemico - Novartis, GlaxoSmithKline, Sanofi e Baxter - si fregano le mani: la Francia ha firmato un contratto da un miliardo di euro per 94 milioni di dosi di vaccino, allo scopo di raggiungere il 100% della popolazione. La Gran Bretagna punta alla copertura del 70% degli abitanti, circa 40 milioni di persone, per una spesa di oltre 700 milioni di euro. Abbastanza distanti le posizioni dell’Italia e della Spagna, che puntano, almeno per il momento, a vaccinare il 40% della popolazione, con una spesa vicina a 370 milioni. Due i miliardi di euro messi in preventivo dalla Sanità federale tedesca, mentre Atene si è detta pronta a vaccinare uno a uno undici milioni di greci. In Australia hanno già ordinato 21 milioni di dosi, e Obama ha stanziato 5,8 miliardi di dollari per combattere la minaccia del virus H1N1.
Complementari al business principale, una serie di piccoli affari, per la felicità dei produttori dei beni più disparati: mascherine per la respirazione (una banca belga ne ha ordinate un milione e 250mila, al prezzo unitario di 30 euro, il governo inglese 32 milioni, e France Telecom 40 milioni), candeggina (l’americana Clorox sta inondando il Messico con la sua «regular bleach»), prodotti disinfettanti in generale, apparecchiature per le videoconferenze.
C’è anche chi perde. La decisione di non imbarcare passeggeri con sintomi dell’influenza è costata in un solo giorno alla British Airways un calo in borsa del 2,43%, mentre la Astoi (Associazione dei tour operator italiani) denuncia una flessione poco inferiore al 5% nelle prenotazioni. Per non parlare delle tribolazioni della filiera della carne suina, nonostante le numerose assicurazioni sulla sicurezza di salami, braciole e prosciutti.
A fronte del basso tasso di mortalità dimostrato dall’H1N1 (16mila contagiati in Europa e solo 33 morti) una domanda è d’obbligo: è inevitabile questo scombussolamento economico? Forse no.
Ma, anche se per ora nessuno sa come evolverà la situazione, alcuni scenari prospettati non permettono procrastinazioni: se in Francia i giornali fanno a gara a dipingere un futuro di carestia e insicurezza, dal Regno Unito la società di ricerche «Oxford economics» annuncia che la pandemia potrebbe avere un impatto di cinque punti percentuali sul pil britannico. Prospettiva allarmante, oltretutto confermata dai calcoli della «Federation of small business», secondo cui fino a 120mila piccole aziende potrebbero essere costrette a sospendere le operazioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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