Oriani, il nazionalista che piaceva a destra e a sinistra

Quando Alfredo Oriani morì, nel 1909, Mario Missiroli, allora enfant prodige del giornalismo, scrisse a Giuseppe Prezzolini: «L’ho amato con la devozione e con l’affetto di un figlio spirituale ed ho la profonda convinzione di aver penetrato, forse solo, quell’anima complessa». Missiroli era rimasto affascinato da Oriani al punto da recarsi spesso da lui per farsi leggere La rivolta ideale. Ne parlò con tale entusiasmo a Prezzolini che questi accettò di recarsi a colazione dallo scrittore nell’isolata villa «Il Cardello», a Càsola Valsenio (Ravenna). Anzi, in omaggio all’ospite, fan della bicicletta, si fece un centinaio di chilometri pedalando. Quando si sedettero a tavola, Oriani gli disse: «So che state scrivendo sul modernismo. Capisco benissimo quello che volete dire». E cominciò a spiegargli ciò che il libro avrebbe dovuto contenere. Prezzolini, che pure non era un carattere facile, se ne stette zitto, ridendo fra sé perché - ricordò in seguito - «con un uomo del genere non si poteva discutere» e, se lo avesse fatto, si sarebbe sentito definire uno sciocco che non capiva nulla.
Che Oriani fosse un tipo da prendere con le molle era noto. Non a caso lo chiamavano «il solitario del Cardello». Era nato da un’agiata famiglia faentina nel 1852, si era laureato in giurisprudenza ed era entrato in uno studio notarile. Ma poi aveva messo da parte codici e pandette per la letteratura. I primi romanzi, di taglio romantico e psicologico, erano stati ignorati. Si era allora dedicato a un’opera ambiziosa fin nel titolo, La lotta politica in Italia. Origini della lotta attuale, che rileggeva hegelianamente le vicende della penisola dalla caduta dell’impero romano all’oggi come un percorso obbligato verso l’unità. La pubblicò a proprie spese nel 1892. Altro insuccesso. Lo storico Amedeo Crivellucci scrisse: «Dicono che l’autore abbia mostrato della capacità nello scriver romanzi. Se è vero, noi lo consigliamo di tornare a quel genere letterario. Non sappiamo se ci guadagnerà il romanzo; certo non ci perderà nulla la storia». Oriani alla letteratura tornò: Il nemico (1894), Gelosia (1894), La disfatta (1896), Vortice (1899), Fino a Dogali (1899, ispirato al tragico episodio in Eritrea), Olocausto (1900). Solo La rivolta ideale (1908) fu una ripresa della saggistica storico-politica e di certi temi di La lotta politica in Italia a cominciare dall’idea di un Risorgimento incompiuto per l’incapacità della classe dirigente.
Fu proprio Prezzolini a rilanciare Oriani, ristampando La lotta politica in Italia, ora riproposta da Aragno. Vi aveva visto i germi del nascente nazionalismo e in seguito lo avrebbe definito «il primo grande libro nazionalista». I temi di un’irrisolta questione nazionale, del ritardo colonialista dell’Italia, della «coscienza di grande nazione», del senso dello Stato furono graditi ai nazionalisti. E, poi, al fascismo: Mussolini nel ’24 guidò una «marcia del Cardello» per onorare la tomba dello scrittore, arruolarlo idealmente fra le camice nere e consacrarne la memoria. E ne volle pubblicata l’opera omnia.
Ma Oriani piacque anche ad altri.

A Missiroli che a lui s’ispirò per La monarchia socialista, a Croce, che vi ritrovò echi di pensiero idealistico, a Gramsci e Gobetti che vi rintracciarono, il primo un «manifesto per un grande movimento democratico nazionale popolare», e il secondo le basi per un processo moralistico al Risorgimento e a tutta la storia nazionale. In lui convissero idee della sinistra risorgimentale e della destra storica. E, grazie a Prezzolini, il suo pensiero fermentò nell’ambiente del «vocianesimo», terreno di incubazione di fascismo e antifascismo.

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