La pace di Cobden. L'acerrimo nemico diventa amico se ci fai buoni affari

Mingardi raccoglie gli scritti dell'imprenditore e pensatore inglese che più si è battuto contro i dazi. Per motivi economici e anche morali

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Quello di Richard Cobden, oggi, è un nome quasi ignoto ai più. Gli appassionati di storia ricordano il trattato Cobden Chevalier, che nel 1860 abbassò le barriere doganali tra Inghilterra e Francia; qualcun altro magari non ignora l'esistenza dei cosiddetti «manchesteriani», che in Cobden ebbero proprio il protagonista più eminente. Eppure a dispetto del sostanziale oblio si tratta di una figura quanto mai originale e per questo bene ha fatto Alberto Mingardi a curare un'antologia dei suoi lavori (Scritti e discorsi politici. Il libero scambio per la pace tra le nazioni, Rubbettino).

Cobden è stato un uomo straordinario sotto vari punti di vista. È stato l'inventore di una politica coinvolgente grandi numeri, specie quando organizzò la lega contro il protezionismo: spingendo molti cittadini inglesi ad avversare il parassitismo dei proprietari terrieri, che non volevano la concorrenza dei prodotti stranieri. La sua fu una battaglia difficile, contro i privilegi degli aristocratici e l'incomprensione dei principi elementari dell'economia, ma nel 1846 le norme che impedivano l'importazione dei cereali (le corn laws) furono abolite.

Egli è stato anche un interprete rigoroso delle tesi liberali. Senza mai diventare davvero un uomo politico, ha avuto il merito di conseguire grandi successi nella riformulazione dei rapporti tra i singoli e le nazioni: soprattutto evidenziando il legame tra l'apertura dei mercati e la pacifica integrazione delle società.

Ovviamente la comprensione del rapporto tra commercio e libero scambio è un tema ricorrente nella riflessione liberale: dal doux commerce di Montesquieu alle tesi di Benjamin Constant in Conquista e usurpazione, solo per fare due esempi. Come però Mingardi sottolinea nella sua introduzione, Cobden ha reso quelle tesi «materia viva, nella politica inglese ed europea, con ripercussioni non irrilevanti sulla temperie intellettuale del secondo Ottocento». Se il XIX secolo non è stato soltanto l'età delle unificazioni militari, del nazionalismo romantico e dell'espansione coloniale, questo lo si deve anche al successo degli argomenti «manchesteriani» di questa piccola borghesia liberale e dinamica, armata soprattutto di solidi principi etici.

Se infatti i «manchesteriani» guidati da Cobden sono passati alla storia soprattutto per la loro difesa del libero scambio, l'antologia curata da Mingardi ci consegna un'immagine più fedele all'originale, mostrando quanto essi fossero impegnati anche e anzitutto nel contrasto alla guerra e all'imperialismo. La battaglia contro il protezionismo di Stato include in sé tanti temi: l'avversione per il classismo dei proprietari terrieri; la comprensione dei principi fondamentali dell'economia; e infine ma si tratta di una questione cruciale la convinzione che l'abbattimento delle barriere doganali possa favorire lo svilupparsi di rapporti armonici e cooperativi.

Egli è stato quindi un protagonista del Diciannovesimo secolo, ma la sua vicenda personale è assai diversa ad esempio da quella di Lord Palmerston o Napoleone III: solo per citare due altre figure del tempo. Infatti, le origini di Cobden sono umili, dato che egli aveva iniziato a lavorare a 15 anni, quale impiegato in un magazzino dello zio. Quando ha 21 anni la madre, che aveva aperto un negozio per mantenere la famiglia, muore dopo avere assistito il figlio di un vicino, malato di tifo. Il giovane Richard diventa il capo-famiglia, dando vita a una azienda che produce tessuti di cotone grezzo.

Quando s'affaccia alla vita pubblica, Cobden è un imprenditore che s'è fatto da sé e che ha costruito la sua formazione in parte sui libri, in parte nei commerci. Una volta conseguita una qualche agiatezza, decide però di dedicarsi a una militanza politica che tra il 1836 e il 1838 lo porta a dar vita, insieme a John Bright, a quella Lega che per la prima volta mobiliterà migliaia di semplici cittadini in una battaglia per ampliare le libertà individuali. Soltanto nel 1843 la Lega distribuirà 9 milioni di volantini, sviluppando una crescente pressione dall'esterno sui legislatori e sul governo.

Come i testi antologizzati mostrano assai bene, il liberalismo di Cobden è nutrito di valori morali ed è innervato dalla convinzione che l'imperialismo, ricorrendo alla violenza e al dominio, è destinato a far soffrire non soltanto i vinti, ma anche i vincitori. Non è allora semplicemente il commercio a favorire la pace e la coesistenza tra i popoli, ma sono soprattutto le regole morali su cui esso poggia: il riconoscimento dell'altro, il rispetto della parola data, la disponibilità ad accordarsi senza difficoltà su questioni specifiche anche se si crede in religioni differenti e in visioni del mondo contrapposte.

In

questo nostro tempo assai difficile, in cui la guerra è tornata prepotentemente sulla scena europea e in cui lo spirito della globalizzazione sembra declinare, la lezione di Cobden mostra allora una formidabile attualità.

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