(...) dei pendolari, sono sempre «altri», ma fa impressione sentire le loro storie. Tre, quattro, a volte cinque ore di viaggio, fra andata e ritorno, per arrivare a studiare e a lavorare e questo tran tran per almeno cinque volte alla settimana. Mi sono ricordato dei compagni di liceo che arrivavano dalla provincia con lentissimi treni e sgangherate «corriere» e avevano la merenda doppia perché alla fine delle lezioni non potevano tornare rapidamente a casa, in città, e masticavano nelle stazioni, talvolta in piedi come i cavalli.
Sì, crediamo di saper tutto dei pendolari, ma forse non riusciremo mai a valutare l'intensità della loro doppia fatica.
Ed è su questi pazienti soldatini del lavoro e dello studio che si è abbattuta una bella lezione di democrazia impartita dai ragazzi dei collettivi universitari che protestavano contro il decreto Gelmini e i tagli agli sperperi delle università. Proprio una bella lezione, nulla da dire. I manifestanti, non riuscendo a bloccare la tangenziale e a paralizzare il traffico automobilistico, hanno ripiegato sulla stazione di Lambrate. Binari occupati, blocco del traffico per unora.
Le spese le hanno fatte, come al solito, i pendolari. Hanno imprecato, qualcuno ha ricordato gridando che tutte le mattine si alza alle cinque, ma hanno subito. Tanto, sono abituati a viaggiare e ad arrivare in ritardo.
E dire che i ragazzi dei collettivi abusano spesso del termine «sociale». Il cui significato viene ancor più esaltato dal fatto che si battono per il privilegio dei baroni di nominare accademici i loro famigli.
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