Non è solo la vicenda di un palazzo, ma qualcosa di più complesso: ormai questa affermazione può essere presentata senza patemi.
Storie così, tangenti o meno ad ambienti sacri, necessitano di condizionali. Perché la sussistenza di alcuni fatti - quelli che se fossimo dinanzi ad una spy story si integrerebbero alla perfezione - andrà chiarita dalle indagini. Dalla semplice compravendita di un immobile a Londra a quello che sta emergendo nel corso delle indagini, almeno in termini narrativi, la strada non è affatto breve. In Vaticano, in un certo senso, sono abituati ai racconti. Pure gli scandali prendono spesso residenza da quelle parti. Poi tanto i contenuti iniziali quanto i finali devono poggiare su solide basi probanti. Altrimenti tutto può tramutare in mera leggenda. Anche in questa narrazione, che solo i "pm" di Bergoglio possono disvelare.
Il palazzo al centro dello scandalo
Molto, comunque, si svolge attorno ad un numero: il 60, precisamente quello di Sloane Avenue, Chelsea. Nella nostra storia c'è un principio certo: il Vaticano decide di investire del denaro, 200 milioni, per un immobile di lusso. Qualcosa però sembra non andare come previsto. C'è chi racconta che la Santa Sede non sia riuscita ad acquisire in toto la proprietà del palazzo. Uno dei primi nomi a balzare agli onori delle cronache è Raffaele Mincione. L'uomo con cui il Vaticano avrebbe trattato per comprare l'immobile londinese nella prima fase. "Io il palazzo l'ho venduto al Vaticano. L'ho venduto a Edgar Pena Parra allo sceriffo messo da altre persone per fare questa cosa. Non l'ho venduto a Torzi. Torzi è stato incaricato dal Vaticano di comprare il palazzo per loro: è differente la storia. Questa storia mi fa impazzire dalla rabbia, ogni volta. Bisogna stare attenti a quello che si scrive". Questo è il cuore della versione di Mincione, quella che è stata riportata dall'Adnkronos. Ma perché la Santa Sede, ad un certo punto, domanda a Torzi d'intervenire? C'è chi parla di un meccanismo che si interrompe. Qualcuno potrebbe ipotizzare che il cambio al vertice della segreteria di Stato - Parra che prende il posto di Becciu - possa aver influito, ma le tempistiche non tornano. Questa storia è piena di domande, ma prosegue sulla linea della cronaca.
Gli elementi ci sono tutti: i sacri palazzi, uomini d'affari e gli alti prelati. Papa Francesco, che all'interno di una rappresentazione cinematografica rappresenterebbe il vertice di coloro che vogliono fare luce su ogni accaduto (e così in effetti è anche nella realtà), è intenzionato a procedere: in Vaticano la trasparenza deve diventare una regola. Alcune persone, cinque per l'esattezza, sono state sospese dalla Segreteria di Stato. Questa è stata la prima contromisura. La motivazione porta dritto verso la strada del sospetto sulle "operazioni finanziarie sospette"? Si tratta di persone hanno dunque svolto un qualche ruolo nel presunto scandalo? Altra domanda che per ora non conosce risposta. Comunque sia, i sospesi sono monsignor Mauro Carlino, il direttore dell'Autorità d'Informazione Finanziaria Tommaso Di Ruzza, Vincenzo Mauriello, sempre della Segreteria di Stato, così come Fabrizio Tirabassi e Caterina Sansone. Ma le cronache non si occupano più di tanto di questi normativi: i veri protagonisti sembrerebbero essere altri. E in termini cronologici i media ne prendono a mano a mano consapevolezza. Dopo l'ufficialità della sospensione intanto, arriva un colpo di scena: il Papa sceglie di sostituire il vertice della Gendameria vaticana. Bergoglio potrebbe non aver digerito la fuoriuscita dei nomi delle persone interessate dal provvedimento di sospensione. Il comandante Domenico Giani non ha responsabilità, ma secondo una certa vulgata avrebbe dovuto vigilare sul fatto che nessuno passasse notizie ai giornalisti. Molto di quello che accade nel piccolo Stato al centro di Roma, si sa, si presta ai retroscena con una certa facilità. E il fatto che qualcosa trapeli può non essere interpretato come privo di conseguenze.
Cambia il protagonista della narrazione
Quasi all'improvviso, un broker viene arrestato. Siamo all'inizio di questo mese. Gianluigi Torzi finisce all'interno di una stanza della Gendarmeria vaticana. Nel momento in cui scriviamo, il broker dovrebbe essere stato già liberato. Somiglia ad una spy story, dicevamo. E come in ogni "storia di spie" che si rispetti, c'è dunque già stato spazio, per quanto transitorio, per un provvedimento che portasse ad un vero e proprio arresto. Ma ora sono altri racconti, magari anche quello di chi è stato fermato, a poter far tremare le mura leonine. Le ore trascorrono e le novità fanno capolino con una certa puntualità: Torzi, quantomeno basandosi su quanto ripercorso dall'Adnkronos nel corso di questi giorni, avrebbe detto la sua. Una "sua" che potrebbe influire non poco su una storia che sembra ancora lungi dall'essere scritta nella sua versione definitiva. Gianluigi Torzi viene descritto in manette. Allo scossone segue un periodo di calma piatta, quasi d'attesa. Si cerca di capire a fatica cosa stia accadendo all'interno delle mura leonine. Torzi è il broker molisano cui il Vaticano si è affidato nella seconda fase. Pare proprio per l'impulso del nuovo sostituto alla Segreteria di Stato Pena Parra. Mincione la spiega così: "Lo conosco da un paio d'anni perché ha l'ufficio nella stessa piazza di fronte alla mia. Due italiani a Londra...mi sta anche simpatico, perché lui ha fatto solo quello che gli hanno chiesto gli altri. Lo hanno incaricato, gli hanno detto di comprare un palazzo, lui l'ha comprato. C'è la lettera di Pena Parra che gli dà tutti i poteri possibili per eseguire la transazione. Ha usato un avvocato di primo piano, io ne ho usato un altro di primo piano. Si sono incontrati, hanno parlato, hanno stilato un contratto di settanta pagine e poi dopo gli cambia la storia perché gli serve per i loro scopi politici? E' vergognoso". Ma perché Torzi viene contattato dal Vaticano?
Sembrerebbe che lo scopo della Santa Sede fosse quello di acquisire l'intera proprietà del palazzo di Londra. Quello che il Vaticano non sarebbe riuscito ad acquistare in pieno in prima battuta. Le accuse mosse nei confronti del broker molisano, stando a quanto avevamo appreso, non erano di poco conto. Veniva citata persino un'estorsione da 15 milioni di euro. Nel corso della disamina, poi, è persino balzato agli onori delle cronache un summit con il pontefice argentino: un incontro in cui Torzi avrebbe ribadito le sue presunte richieste, in quello che è stato definito alla stregua di un "ricatto" compiuto dinanzi a Papa Francesco. Torzi ha davvero domandato dei soldi per cedere delle quote dell'ormai noto palazzo londinese? Davvero Torzi ha addirittura rimarcato le sue volontà alla presenza del Papa? Sino a prova contraria la risposta è sempre "no".
La versione del broker
Stando a quanto riportato sempre dall'Adnkronos, il broker avrebbe voluto dare il suo contributo all'inchiesta, procedendo col raccontare la sua versione dei fatti: "Lo spaccato che verrebbe fuori dalle indagini e dalle nuove rivelazioni è di quelli da brividi: giri di (presunte) tangenti sotto forma di "provvigioni" che coinvolgerebbero persone molto vicine alla Santa Sede ma ai quali il broker non si sarebbe mai voluto prestare, ricavandone prima blandizie (addirittura la promessa di una escort o di opere d'arte o di affari lucrosi, a cui comunque non avrebbe mai ceduto), e poi finanche minacce e ricatti, rispediti anche in questo caso al mittente". Queste prime righe, che provengono dalla fonte sopracitata, sembrerebbero suggerire uno scenario meno chiaro del previsto. Qualcuno ha provato a corrompere Torzi? Perché, in caso? Esiste un "sistema" attorno a questa storia? E se sì, da chi è composto? Esistono alti prelati che potrebbero non rivelarsi estranei agli accadimenti su cui i "pm del Papa" stanno indagando ? Potrebbe essere possibile che le quote azionarie rimaste nelle mani di Torzi - sempre che esistano - fossero già state previste in precedenza? Se sì, con chi erano state previste? Ecco, sembrerebbe che Torzi sia nella posizione di provare la consapevolezza da parte di alcune alte sfere della situazione della ripartizione del pacchetto delle quote. Ma anche in questo caso le risposte spettano alla giustizia. Oltre che al tempo necessario ad appurare la verità.
La questione del "materiale audio-visivo"
Come spesso accade nelle spy story, ci si imbatte anche in divagazioni che non corrispondo al vero. Possibile che alcuni alti prelati, in questo che dal punto di vista inchiesistico apparirebbe come un ginepraio, un labirinto, in cui è difficile trovare una via d'uscita che sia certa, possano aver agito in un senso o in un altro perché sottoposti a qualche tipo di "ricatto"? L'Adnkronos, specificando ancora che si tratta di mere ipotesi, arriva a citare un "un clima di 'ricatti incrociati, addirittura con alti prelati 'sotto schiaffò di personaggi senza scrupoli che magari, in alcuni casi arrivando a usare materiale audio-video compromettente, sarebbero riusciti a fare il bello e il cattivo tempo". Ma il legale del broker ha negato il fatto che Torzi abbia dipinto un affresco di questo tipo nel corso dell'interrogatorio. E un discorso identico vale per la memoria difensiva, in cui non viene dunque fatta menzione del materiale e di altri dettagli e particolari. Ma una spy story, nel senso letterario, si è palesata. Troppe domande irrisolte per non poter parlare di "misteri". E sullo sfondo dimora la ferma volontà del successore di Pietro: far sì che le responsabilità emergano, in modo che il Vaticano non debba più fare da teatro a narrazioni come questa. Bergoglio ha rivendicato che il sistema funziona. Per il Papa la "pentola" è stata finalmente "scoperchiata" da dentro. Senza bisogno che gli indizi arrivassero da fuori.
Ma cosa c'è nella pentola? E chi l'ha girata? Queste, metaforicamente, sembrerebbero le domande centrali cui i "pm di Bergoglio" stanno cercando di rispondere. La sensazione è che altri capitoli, magari anche piuttosto fitti, siano in arrivo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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