In tempi di feroci contrapposizioni politiche e ideali, un autorevole pensatore, filosofo ed esoterista, pittore e orientalista, prolifico scrittore e apprezzato pubblicista riesca a essere unanimemente criticato tanto da destra che da sinistra. Stiamo parlando di Giulio Cesare Evola, più noto come Julius Evola (1898-1974), che, poco meno di un paio di mesi fa, è stato liquidato da Marco Invernizzi sul Foglio come colui che «ha fatto più danni al mondo cattolico tradizionalista e alla destra in generale di quanto ne abbiano fatto nemici classici come potrebbero essere Robespierre o Lenin». Pochi giorni prima, in occasione di un convegno dedicato a «Filosofia e alpinismo a Gressoney: Julius Evola», l'Anpi aveva protestato contro tale iniziativa che avrebbe celebrato un «filosofo antisemita, di simpatie naziste e molto caro all'estrema destra italiana».
A distanza di quasi cinquant'anni, insomma, l'autore, tra l'altro, della Dottrina del risveglio, un pregevole saggio sul buddismo apprezzato anche dell'autorevole «Pali Society», e della Tradizione ermetica, un accurato studio sull'alchimia citato anche da C.G. Jung, nonché l'unico importante esponente italiano del dadaismo, riesce ancora a dividere, o meglio, a essere aspramente disapprovato. Giunge quindi al momento opportuno la quarta edizione di un importante saggio di Gianfranco de Turris, Julius Evola. Un filosofo in guerra 1943-45 (Mursia, pagg. 300 euro 25), dedicato al periodo meno conosciuto ma più importante, almeno dal punto di vista della biografia, di Evola. In questa edizione, aggiornata e molto arricchita rispetto alle precedenti, de Turris chiarisce, per quanto possibile, i fatti che portarono alla paralisi delle gambe di Evola - che viene finalmente diagnosticata in modo accurato - causata dai danni subiti durante un bombardamento alleato mentre si trovava a Vienna nel gennaio 1945, e soprattutto ne analizza le conseguenze. Convinto assertore del fato come conseguenza della propria volontà, Evola non riusciva a capacitarsi del motivo della sua invalidità, e la conclusione a cui, più o meno esplicitamente, giunge è che il destino aveva deciso che l'uomo d'azione doveva lasciare il passo all'uomo di studio, al Maestro che avrebbe formato - o devastato, come direbbero altri - alcune generazioni di «uomini tra le rovine». Severo, intransigente, colto, poco incline alle socievolezze, dopo la guerra, per dare retta a dei giovani reduci della Rsi, finì prima a Regina Coeli e poi sotto processo per la loro attività sovversiva dei Fasci di Azione Rivoluzionaria con cui non aveva nulla a che fare ma che, alla fine, sopportò stoicamente, senza prendersela più di tanto con i ragazzi che l'avevano elevato a loro guida spirituale.
Un aspetto trascurato da tutti gli studiosi, critici o simpatetici, è il senso dell'umorismo di Evola, che non appare mai nella sua produzione letteraria ma traspare ogni tanto nei suoi incontri con insospettabili personaggi, come racconta de Turris a proposito di Fellini - uno dei tanti che andavano a trovare il Barone senza farlo sapere -, al quale Evola fece credere che la sua paralisi era dovuta ai suoi studi sull'occulto, passione condivisa dal famoso regista. Che quindi si spaventò molto.
Per quanto possa valere, a questo proposito, una testimonianza personale.
Ricordo che, nei primi anni Settanta, un amico più grande che aveva frequentato una decina di anni prima l'abitazione di Evola assieme ad altri «giovani nazionali», rimase sconcertato quando il serissimo Barone, durante un incontro durato più a lungo del solito, li aveva praticamente cacciati di casa perché quella sera «trasmettevano in televisione le Bluebell Girls», un allora famosissimo gruppo di ballerine particolarmente avvenenti e molto discinte... E in effetti, dopo una rapida ricerca ho verificato che, proprio la fatidica sera del 28 ottobre 1961, la Rai mandò davvero in onda le Bluebell.
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