Midhat Kamal non è un eroe. Non lo è sotto le armi, che sfugge, evitando di dover servire nelle truppe dell'Impero Ottomano: nel 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale, da Nablus, la sua città, Midhat si imbarca per la Francia, per studiare Medicina a Montpellier, e realizzare il desiderio di suo padre, Haj Taher Kamal, un ricco mercante di stoffe.
Midhat non è un eroe nemmeno in Francia. A Montpellier rimane un solo anno, gli studi in Medicina vanno così e così ma, in compenso, si innamora di una giovane bella e tormentata, Jeannette, che non riesce a comprendere fino in fondo: un po' perché non sa interpretare alcuni suoi gesti, un po' perché lei stessa sembra chiudergli la porta in faccia un attimo dopo aver lasciato aperto uno spiraglio. Poi accade un fattaccio e Midhat scappa da Montpellier, si rifugia a Parigi da un amico siriano, frequenta la Sorbona e moltissime donne, studentesse, prostitute, ragazze disinibite del bel mondo, che nemmeno la Grande guerra è riuscita a spegnere. È così che Midhat diventa Il Parigino (Einaudi), o «Al-Barisi» come lo chiameranno beffardamente al ritorno in patria (nel 1920, e senza laurea...), ovvero il protagonista del romanzo d'esordio di Isabella Hammad, giovane scrittrice nata a Londra da madre angloirlandese e padre palestinese che, nel raccontare la storia, si è ispirata al bisnonno e ha molto ascoltato la nonna, «Teta Ghada», alla quale è dedicato il libro. Per scrivere il romanzo, seicento pagine in stile quasi ottocentesco che si muovono fra la Storia d'Europa e del Medio Oriente dal 1914 al 1936 e la storia personale di Midhat, della sua famiglia e dei suoi amici, nel 2013 Isabella Hammad è andata in Palestina (era la prima volta nel Paese di suo padre), svolgendo ricerche, raccogliendo voci e testimonianze di chi ricordava ancora un'epoca lontana e molte di quelle storie tramandate di padre in figlio, e di madre in figlia, nella valle di Nablus, sotto il monte Gerizim, nei dintorni delle mura di Gerusalemme, nel deserto, sul mare di Tel Aviv e Giaffa, nei pressi del pozzo di Giacobbe, e poi a Nazareth, a Betlemme...
Tutta la vicenda si svolge prima della nascita dello Stato di Israele e il romanzo si muove in un singolare equilibrio, in cui la politica non sembra mai prevalere sulla storia: per esempio, quando descrive l'odio crescente fra la popolazione di Nablus, prima verso l'Impero, poi verso gli inglesi e, infine, verso i «sionisti», Hammad descrive, allo stesso tempo, la decadenza della città, l'invidia e il sospetto che serpeggiano fra i suoi stessi abitanti, la nascita del «nemico» in quanto tale. Midhat non è un eroe neanche a Nablus: è estraneo alla politica e alla lotta nazionalista, e pagherà un prezzo altissimo. Ma è il prezzo che aveva già iniziato a pagare mettendo piede in Europa e scoprendo di essere un uomo dalla doppia identità, un «Parigino d'Oriente», il cui posto è in Francia come a Nablus e, allo stesso tempo, non è né in Francia, né a Nablus. Infatti, tornato nella «sua» città, si sente legato al compromesso e sente di tradire sé stesso, tanto quanto a Parigi.
Midhat è costretto a dissimulare fino alla follia, per riuscire a far convivere le sue contraddizioni; del resto, la dissimulazione è parte della vita di tutti coloro che lo circondano, ma «come avrebbe potuto lui, Midhat Kamal, tornare a fingere, ora che conosceva la fragilità del tutto?». Non è un eroe, Midhat Kamal, però tenta la strada accidentata dell'autenticità e in questo, davvero, è un eroe da romanzo, in mezzo a tutte le sue cadute.
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