da Roma
Due partiti, due lingue. Parlano e non si capiscono (o si capiscono fin troppo bene). E questo luogo virtuale - dove nessuno vuol più comprendere nessun altro e, in primo luogo, il motivo per mettersi assieme - lo chiamano «Partito democratico». Volendo dare unimmagine altrettanto indecente, una torre di Babele costruita a Cnosso.
Il linguaggio della chiarezza, per sommo paradosso, appartiene a frange agli antipodi. Nei dielle, a chi vuole con entusiasmo e subito un «partito nuovo»; nei diesse a chi non lo vuole affatto. Gli ulivisti della Margherita, capeggiati da Arturo Parisi, provano a rompere il muro dellambiguità: basta «invenzioni verbali», basta «espedienti», basta «mere soluzioni organizzative». I neosocialisti della Quercia, capeggiati da Fabio Mussi, in maniera altrettanto chiara vedono in Parisi «onestà» intellettuale e lo «specchio delle contraddizioni esistenti» che suggerirebbero di lasciar perdere. «Cè chi affronta le difficoltà e non le risolve, ma io lo preferisco a chi le difficoltà le aggira...», spiega Mussi alludendo a Fassino.
Poi però cè la terra di mezzo. Dove sta, come sempre, la melassa. «Il bilinguismo ipocrita alla De Mita, tanto per fare un nome», esemplifica il senatore iperulivista Roberto Manzione. Ecco il prototipo: «Uno tra i tanti che immagina il Pd come lennesima pelle da indossare, lennesima avventura che assicuri la spartizione del potere e la sua gestione assieme ai ds». Cambiando fronte, ecco invece linvenzione fassiniana di strutturare il nuovo partito come la Flm, la Federazione unitaria dei metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil. «La storia ci insegna che è stata un fallimento», ricorda Mussi. «Un modello datato e fallimentare, un tentativo di fusione a freddo, proprio come vogliono fare con il Pd», denuncia Parisi. «Sincero e leale come sempre - chioserà il ds Peppino Caldarola -, Parisi chiede a Ds e Dl di uscire dallambiguità e decidere di sciogliersi entro il 2007... Perché, come conferma anche il fassiniano Migliavacca, quello di primavera sarà il nostro ultimo congresso. Mi auguro che questo venga scritto senza equivoci nella mozione del segretario, per distinguere bene tra ciò che nasce e ciò che muore. Pare di capire che ciò che nasce sia il Caos».
Ma di fronte al Caos della malafede e dei camuffamenti, come immaginare passi avanti e scioglimenti paralleli? Lintervista rilasciata da Parisi al Corsera piomba sulla Margherita proprio mentre si cerca una strada per unificare le mozioni congressuali (sarebbe cosa fatta, se la maggioranza accettasse di scrivere con chiarezza che in primavera ci sarà l«ultimo congresso»). Parisi scuote la trattativa, facendo trasudare pessimismo e forse persino la minaccia di una nuova scissione: «Meglio rivolgersi ai cittadini», dichiara. Un «help me!» dellintellettuale di fronte allannegamento nella melassa di politici navigati e rapaci. Appello che manda su tutte le furie Dario Franceschini, capogruppo ulivista alla Camera, che così si sarebbe sfogato: «Ma proprio adesso? Significa muoversi come un elefante in una cristalleria... Una mano a chi vuol mandare tutto allaria...». Teoria che finisce per essere tradotta rudemente da Gad Lerner, giornalista inserito tra i «saggi» del Pd. Altro che saggezza: «La malinconia intelligente di Parisi lascia il tempo che trova, da reumatismi. La sua corrente ulivista da inutile che era sta diventando nociva. Dia il buon esempio: la sciolga».
Parole fatte apposta per aizzare il fuoco. «Una saccenteria sconcertante, un attacco inusitato», perde le staffe persino il pacato sottosegretario Mario Lettieri. E la battagliera deputata Cinzia Dato prende a borsettate metaforiche lInfedele: «Nulla di quello che ha fatto Parisi è stato inutile. Senza Arturo il Pd non potrebbe mai neppure nascere».
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