Pasta, ovvero Italia. L'immagine nel mondo è questa, e si traduce nel primo nel primo posto nel mondo per export, con 2 milioni di tonnellate: un successo, non c'è dubbio. Ma il settore della pasta deve combattere la concorrenza sleale e affrontare il gap di competitività economica che minaccia le nostre aziende. Insomma, non possiamo dormire sugli allori di un export che tira ma non è immune da problemi che ne frenano la crescita.
Per questo Aidepi, l'Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane, ha lanciato la proposta di istituire una cabina di regia sulla pasta secca, presieduta dai ministri delle Politiche agricole e dello Sviluppo economico, presentata nello scenario internazionale della manifestazione Ipack-Ima, punto di riferimento delle eccellenze per il packaging del grain based food in corso a Fiera Milano, come spiega l'ad Guido Corbella: "IpacK-Ima è la fiera d'eccellenza per le tcnologie della pasta secca, qui converge tutto il mondo del settore ed era oppotuno ospitare la proposta della cabina di regia".
D'altra parte la progressiva riduzione dei pastifici italiani - sottolinea l'Aidepi - oltre 500 negli anni Settanta, non più di 120 oggi, con i primi dieci a coprire oltre il 90% del mercato e un debole sostegno del sistema Paese alle politiche industriali alimentari, hanno sensibilmente concorso nel tempo a scavare un solco, in termini di competitività, crescita e sostegno all'export, tra l'industria alimentare italiana e quella europea ed extra europea.
"Il governo ha raccolto con grande senso di responsabilità la nostra richiesta di avviare una pronta strategia integrata per valorizzare la pasta e la sua promozione all'estero, ringraziamo i ministri Guidi e Martina per aver concretizzato questa misura invocata da tempo - ha detto Paolo Barilla, presidente di Aidepi -. La pasta è un settore rilevante dell'economia italiana, - ha aggiunto - ma rischiamo di cedere il passo ad aziende non italiane, che, supportate da politiche di governo incentivanti, hanno compresso la marginalità dei profitti e turbato la tenuta delle nostre aziende pastarie. Varie sono le concause del fenomeno, ma certamente incidono la generalizzata crisi dei consumi, la stretta creditizia e l'elevata capacità produttiva installata inespressa, pari al 33% circa".
L'iniziativa voluta da Aidepi e sostenuta da Mise e Mipaaf arriva per cercare di dare una risposta a un problema di concorrenza che si sta diffondendo anche a pochi chilometri da "casa". In Europa, il principale mercato di riferimento, bisogna infatti fare i conti con la competitività economica dei prodotti locali anche se speso questa prescinde dalla qualità. Come in Francia, dove si vende molta pasta spagnola, ma di qualità inferiore rispetto a quella italiana. Mentre in altri Paesi sviluppati, l'incidenza delle diete low carb penalizza inevitabilmente il nostro prodotto nazionale e, in generale il modello alimentare italiano. Diverso invece è il discorso di mercati emergenti come Cina, Russia, India o Paesi arabi, dove il made in Italy non ha perso il suo valore. Ma i problemi sono strutturali: in Russia, l'export di pasta risente della complessa situazione socio-politica; in Cina mancano canali stabili e continuativi. Mentre negli Usa i dazi antidumping stanno penalizzato le aziende italiane e le potenzialità di un mercato ancora ricettivo.
Primato che resiste con un tasso di crescita all'estero del 25% negli ultimi 10 anni: ogni 10 piatti di pasta serviti nel pianeta, ben 3 parlano italiano, 7 su 10 in Europa. Un altro dato conferma la propensione global di questo prodotto simbolo del made in Italy (e il suo ruolo strategico per la nostra economia): il 57% della produzione nazionale di spaghetti, penne e fusilli è destinata al mercato estero, contro il 52% di 5 anni fa, il 47% del 2000, il 5% del 1955. E quota 60% non è così lontana, anche se già ci sono pastai italiani che esportano oltre il 90% della produzione.
A fornire questi dati è Aidepi che ha elaborato dati Istat. Secondo l’Associazione, sono circa 2 milioni le tonnellate di pasta italiana destinate alle tavole di tutto il mondo, +3,6% rispetto al 2013 per circa 2 miliardi alla bilancia commerciale. Senza contare che la pasta fa anche da volano al consumo di prodotti tipici del primo piatto all’italiana come pomodoro, olio e formaggio.
La pasta italiana a finire sulle tavole di tutto il mondo è soprattutto quella di semola di grano duro, l’86% sul totale export. Il restante 14% è costituito da altre tipologie, che vanno da quella precotta a quella ripiena, a paste speciali spesso concepiti esclusivamente per il mercato estero (prodotte con utilizzo di altre farine o arricchite con vitamine e minerali).
Culture e stili alimentari diversi per Paesi e aree geografiche che però richiedono un’alta diversificazione nel modo di proporre, pensare e cucinare la pasta. Ora che la pasta si fa e si cucina un po’ ovunque, accanto a cottura al dente e condimenti mediterranei apprezzati da chi cerca lo stile italiano, si sono affermate anche variazioni sul tema che per i pastai rappresentano una sfida culturale e commerciale.
"Riuscire a proporre un prodotto che abbini il saper fare italiano alle esigenze locali – ha spiegato ancora Barilla - è la chiave di volta per entrare da protagonisti in un mercato strategico. E per dare un futuro globale alla pasta. Anche se questo significa rimodellarla, adattandola a gusti, stili di consumo e abitudini alimentari del tutto eterogenei.”
E Furio Bragagnolo, presidente di Pasta Zara ha spiegato: "Esportando in 106 Stati, le differenze culturali sono per noi un forte elemento di studio. Andiamo sul territorio per studiare abitudini, consumi e usanze, in modo poi da riuscire a proporre per il mercato un prodotto che abbini la nostra conoscenza alle esigenze locali. Siamo convinti che sia questo metodo comportamentale a fare la differenza. I mercati nei quali registriamo gli aumenti di consumo di pasta più interessanti sono gli Emirati Arabi e il Sud America, Brasile".
A cambiare a seconda del paese di destinazione la pasta di semola di grano duro sono soprattutto il suo utilizzo, condimento e cottura. E la qualità resta ila carta vincente dei pastai italiani rispetto ai competitor internazionali. Un primato che negli ultimi anni ha consolidato il gradimento, con i formati maxi della tradizione regionale (paccheri, conchiglioni, fusilloni &co) ha contribuito a consolidare.
Ma aiutano anche design e naming mirati (l’Italia produce oltre 300 tipi di pasta). E così, se negli Usa i "rotini" sono la versione americana dei fusilli, in Russia spopola la "cresta di gallo", un maccherone curvo rigato con una specie di cresta, che ricorda quella del gallo, ripiegata su un lato e prodotto solo per quel mercato.
La domanda di pasta non si limita più al solo prodotto, ma si allarga a tutto ciò che serve a preparare un primo piatto all’italiana: sughi, pomodoro, olio d’oliva, aceto. E i pastifici italiani allargano il loro paniere di prodotti, per portare un pezzo della migliore Italia del gusto all'estero.
E c’è chi sceglie di presidiare i mercati più strategici producendo in stabilimenti e molini italiani in Europa, Russia, Asia, Nordamerica. Nuova frontiera l’Africa, come ha confermato Stefano Berruto, ad di Pasta Berruto: "Anche se il 98% della nostra produzione è destinato all’export, ad oggi produciamo solo in Italia. Il nostro mercato principale è quello francese, ma stiamo ampliando le nostre attività anche in Medio Oriente e nel mercato africano. Stiamo creando un pastificio in Angola, vicino al porto di Luanda, dove è già stato costruito il molino.
Sarà il primo e unico pastificio del Paese e il primo di una serie di investimenti produttivi all’estero. E la Cina? Un mercato da conquistare, ma c’è ancora molto da fare: anni fa in una Fiera a Shanghai realizzammo un’esposizione di formati di pasta tricolore ma i cinesi pensavano fossero caramelle".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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