Alla prima della Scala è tutta una sfilata di smoking - rigorosamente neri o blu scuri, quelli previsti dall'etichetta - e di abiti lunghi. Ed è normale che sia così: lo richiede il contesto. Si può essere più o meno impacciati col papillon (rigorosamente annodato a mano) e con i colletti ribattuti verso il basso o con quelli diplomatici, ma si deve fare un piccolo sforzo. La realtà è fatta anche di questo. E non si parla di mondanità o di vezzi. Si parla di regole. Perché l'abbigliamento è fatto così: ogni abito ha il suo contesto.
Per questo motivo sembrano più dettate da un pauperismo ideologico che da un'attenzione alla sobrietà le parole della figlia di Pietro Ingrao, Celeste: "Guardando le foto della prima della Scala, sento il bisogno di precisare che mio padre non ha mai posseduto uno smoking. Quanto a mia madre non ha mai posseduto un abito da sera, né lungo né corto, né tanto meno una pelliccia 'vera' (forse una 'finta' sì); tra i suoi 'gioielli' più preziosi ricordo una collana di turchesi grezzi. Ori non ce ne sono mai stati. Scusate questo post un po' 'pauperista', ma a volte può essere utile marcare le differenze".
Ma la bellezza delle differenze sta proprio in questo: che uno non si veste allo stesso modo se deve andare in banca, dal panettiere, al lavoro o alla Scala.
E non si parli di orgoglio di orgogliosa individualità perché, come scrive Anne Hollander in Sex and Suits, "quando alla sera un uomo indossa una cravatta bianca e un frac nero, la sua individualità viene esaltata, non sminuita". Perché l'abilità sta nel giocare nel portamento e nei dettagli. Perché, se è vero che l'abito non fa il monaco, è altrettanto vero che l'assenza di smoking non fa il comunista.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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