Il Pd non è ancora morto solo perché i fantasmi non si possono suicidare. Tutto il resto è vero. Ieri non si è staccata la spina soltanto perché alla fine è prevalsa la paura del voto. Ma il partito resta in coma irreversibile. L’onda d’urto di Marchionne ha sventrato l’anima storica della sinistra. La bioetica è una spina sotto i piedi. I rottamatori rischiano di rottamarsi tra di loro e D’Alema si è scoperto un cuore da viaggiatore d’alto bordo. Non esistono come opposizione, non hanno il coraggio di andare alle elezioni, hanno rinnegato le primarie e c’è il serio rischio che un extraparlamentare come Vendola se li mangi tutti, colonizzando il partito. Il Pd è un limbo, un luogo politico rarefatto, virtuale. È arrivato il momento di chiedersi come smaltirne le scorie.
Come si è arrivati a tutto questo? Il Pd paga il peccato originale. Quindici anni di metamorfosi non sono riusciti a definirlo. Resta sempre una Cosa. L’impressione è che il Pci abbia partorito una fotocopia di cadaveri. Il motivo è semplice. Non ha mai fatto davvero il conti con il suo passato. È caduto il Muro e la sua classe dirigente ha pensato che bastasse un cambio di nome, un’operazione di marketing, una spuntatina e una scissione, una rifondazione alla sua sinistra, per chiudere i conti con quasi un secolo di storia patria. È cambiato il guscio, ma l’interno ha continuato a crescere senza grandi strappi. Veltroni, per esempio, se l’è cavata dicendo che era sempre stato americano. Chi più, chi meno tutti i dirigenti hanno trovato una scusa per sopravvivere al crollo del loro orizzonte culturale. Hanno ripudiato tutto tranne la presunzione di sentirsi migliori e le varie patenti di democrazia, onestà, legittimità a governare. Quello che li ha fregati è che hanno sempre perso.
Il Pd doveva essere l’ultimo approdo, la meta finale dopo i passaggi più o meno indefiniti di Pds, Ds, Ulivo, Unione e cose varie. Doveva essere la sublimazione del compromesso storico. I post democristiani orfani di Martinazzoli innestati sulla quercia post comunista. L’operazione non è riuscita. La radice era già morta. Il Pd scommetteva sul bipolarismo, salvo scoprire che non era in grado di sostenerlo. Veltroni su questo orizzonte si è giocato il suo futuro politico. I posteri forse diranno che la sua debolezza caratteriale lo ha reso fantozzianamente succube dei modi spicci di Di Pietro. O forse, semplicemente, la sinistra resta una struttura feudale.
Nessuno dei principi e dei vassalli è disponibile a perdere la sua fetta di autonomia, il suo ducato, il suo portafoglio di poteri. Questo è un problema che rischiava di mettere in seria difficoltà anche il Pdl. È un sospetto che Berlusconi ha sempre avuto. I notabili locali sono purtroppo utili per raccogliere voti, ma cristallizzano la politica e i partiti. La fortuna del Cavaliere è che le smanie cospiratrici di Fini e la sua sconfitta, la ritirata strategica dei finiani fuori dal Pdl ha creato un terremoto a destra, ma è stato anche un decisivo momento di chiarezza. Il Pdl ne è uscito indebolito, ma vivo.
A sinistra questa chiarezza non c’è mai stata. Si cerca di sopravvivere sulla linea di equilibrio dei lunghi coltelli. Stanno tutti con il pugnale dietro la schiena pronti a far fuori il primo che si autoproclama pontefice. Come accadeva nei comuni medioevali l’unica soluzione a un certo punto è stato ricorrere e sperare in un improbabile Papa straniero, un mercenario, un soldato di ventura, uno che mettesse d’accordo tutte le fazioni. Solo che nessuno è così folle da infilarsi in questo gioco al massacro.
La sinistra, puntualmente, ha sgozzato il suo leader di turno. È toccato al parroco Prodi, al cospiratore D’Alema, al piacione Rutelli, all’Obama de’ noantri Veltroni e ora stessa sorte subirà il fantozziano Bersani.
Lui che in fin dei conti è un segretario dello schermo, uno che occupa la poltrona al posto di un altro. L’ultimo omicidio segnerà il dissolvimento finale del maggior partito di sinistra. Ammazzeranno una controfigura.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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