Pd, i fedelissimi di Veltroni vincono la guerra delle liste

Nel quartier generale caos sulle firma fino alle 4 del mattino. Posti sicuri ai 200 vip schierati con il sindaco, rissa tra gli uomini di apparato. Nella notte decisiva il fedelissimo Bettini monopolizza le candidature

Pd, i fedelissimi di Veltroni  
vincono la guerra delle liste

Roma - «La Melandri? Giovanna è una cara ragazza, ma di politica non capisce un cazzo Eh-eh-eh...!». Se vuoi capire chi è l’uomo forte del Partito democratico, il nuovo padrone delle primarie, sabato dovevi entrare nell’ufficio di Goffredo Bettini (detto «Goffredone», per gli amici Goffrie).

Se volevi capire, dovevi vedere Goffrie mentre faceva e disfaceva in contemporanea tre liste per telefono. Cento e passa chili regalmente assisi sul trono, entra un collaboratore e gli fa: «Ti cerca Gasbarra». Enrico Gasbarra è il potente presidente della Provincia di Roma, preoccupato della sua collocazione ballerina in lista. E lui: «No-hò... ditegli che non ci sto... non ci sono!». E poi: «Tanto lo so che vuole! Il collegio del centro! Ma io quel collegio nella lista uno non glielo posso dare. Nella due ci corre Giovanna e se vanno uno contro l’altro si disturbano». Entra un altro, col telefono in mano: «Goffrie, c’è la Melandri...». «Non ci sto manco per lei! Giovanna non capisce un tubo, ma una cosa me l’ha chiesta... e gliela devo dà per forza. Non vuole stare nello stesso collegio con Gasbarra!». Intorno alla voluminosa incarnazione del nuovo potere capitolino c’è la corte dei suoi uomini. Nomi che il pubblico non conosce: Michele Meta, Maurizio Venafro, Andrea Cocco, pinco pallino. Gli dicono: «Come si fa a dir no a Gasbarra?». E Goffrie, ispirato: «Lui e la Melandri hanno elettorati gemelli: sono eterei, volubili, volteggiano in cielo, eh-eh-eh...». Pausa, sorriso: «Ma avete letto la mia intervista al Corriere oggi? È tutto il giorno che mi chiamano per farmi i complimenti. Da tutta Italia!». Squilla ancora il telefono, Goffrie ascolta, poi si imbestialisce: «Uhm... uhm.. eeeh! Walteeer! Io ora prendo Morando... lo prendo... e gli spacco il cùùuloooò!!». Torna al punto, serio: «Comunque a Gasbarra dite che non ci sto. Sennò lo sbatto al quartiere Trieste!». (Coro): «Sei grande Goffrie!». Ah, ah, ah.

Per capire l’aneddoto bisogna sapere cos’è successo nelle ultime 24 ore della sinistra italiana con la chiusura delle liste primarie. Le quattro che sostengono Veltroni si sono spartite il campo come in una partita di Monopoli. Il sindaco ha stilato la lista con i suoi 200 nomi di «vip» e «società civile», li ha «bloccati» in posizione sicura e ha delegato agli altri - Goffrie &. C.! - tutto il resto. Poi si sono create delle squadrette fittizie e «amicone», per ripartirsi i compiti: c’era la lista «doc» Veltroni, altrimenti detto «listone» (seggio sicuro); c’era la finta lista dei giovani detta «Beautiful-Melandri» (ben piazzato); e la finta lista «di sinistra» detta «A sinistra per Veltroni» (marginale, ma non irrilevante). E poi gli outsider: la lista di Rosy Bindi, di Enrico Letta, di Mario Adinolfi, e quelle dei due oggetti misteriosi, Piergiorgio Gawronsky e Jacopo Gavazzoni Schettini (di cui, dopo un mese, nessuno sa che faccia abbia e tutti dimenticano il nome).

Le uniche che stavano in piedi - a parte le quattro veltroniane - erano Bindi, Letta e Adinolfi. E siccome le liste erano vere, ma il regolamento «taroccato» per rendere impossibile la presentazione ed evitare disturbi sul tavolo del Monopoli veltroniano, a mezzanotte di ieri, quando il big bang ha detto stop, nella sede del comitato elettorale di Via Bergamo, avevano consegnato solo i veltroniani, i «lettini» e Adinolfi. Nella prima stanza il presidente di seggio sembrava tassativo: «Chi è fuori è fuori. Se arrivano un minuto dopo li caccio via!» (ovviamente, poi, sono entrati tutti). In quel momento stavano verbalizzando «i lettini». Primo mistero. Fino alla mattina avevano buchi di firme in molti collegi. Sono giovani, precisi, meticolosi, ordinati. E a sorpresa, in serata si sono presentati ovunque. Stessa condizione per la Bindi, giunta dopo il «big bang» di un soffio perché ha chiuso in extremis. Dicevano i veltroniani: «Le firme gliele hanno prese i dalemiani, aiutando chiunque indebolisse Walter!». Sarà. I melandrini sono arrivati ancora più tardi, ma il bello doveva venire. Perché malgrado il time out il seggio ha chiuso solo alle quattro del mattino. E così i corridoi sono diventati un piccolo suk dove si trattava fino all’ultimo: chi infilava candidature ex post, chi le spostava dal «listone» alla «Beautiful», chi chiedeva agli altri (ad esempio il «melandrino» Marco Simoni) se avevano qualche modulo di firme in più. Spiegava candidamente Enzo Curzio, altro giovane lupacchiotto di apparato del Pd (era l’abile portavoce di Valdo Spini, ora lo ha scaricato): «Il bello dei vecchi Dc è che si portano sempre dietro qualche firma in più per... i “baratti” dell’ultima ora, hi-hi-hi!». Perché si conoscono tutti: uomini di apparato diessino, dell’apparato margheritico, ex dc, ex Psi, ex Psdi... sembravano le olimpiadi del «perfetto apparatnik».

Baratta-baratta, alla fine, tutti hanno chiuso. Certo, mancano fogli, accettazioni di candidature, ma si proroga 48 ore, per aggiungere poi. E, ovviamente, Gasbarra è finito al quartiere Trieste: sei grande Goffrie, ah-ah-ah!.

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