Roma - Cauto e pronto a più riprese a richiamarsi all’alleanza. Sommesso nei toni con la Lega e pieno di riconoscimenti per Tremonti. Che è successo a Gianfranco Fini, che ieri a Sky s’aspettavano sul piede di guerra per l’avvio delle contestate celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia e dopo l’esplodere dei casi Scajola e Verdini?
Succede che il presidente della Camera preferisce non affondare il piede sull’acceleratore. Si dice abbia annusato tempesta alle viste. E allora preferisce smorzare i toni, anche se un paio di unghiate le rifila: la prima a Berlusconi cui chiarisce di non essere affatto d’accordo con la tesi della «congiura» dei magistrati che s’agiterebbe contro il governo e la maggioranza; la seconda a Vittorio Feltri del quale non solo fa sapere di non piacergli, dato che «usa la penna come fosse una clava», ma gli manda pure a dire che proprio il premier ha riconosciuto che il direttore del Giornale «gli ha creato dei seri problemi politici». Senza scordare poi di rilevare che, almeno nel caso del quotidiano, «è evidente che c’è un conflitto d’interessi».
Un paio di sussulti polemici in una chiacchierata condotta invece con inatteso aplomb. Bossi e i suoi contro il 150°? «Lasciamo da parte le polemiche. Le celebrazioni sono partite nel modo migliore. E la risposta a una Lega le cui posizioni sono minoritarie ed isolate verrà da Bergamo dove è in programma il raduno annuale degli alpini e la città sarà invasa dal tricolore».
Ma i casi Scajola e Verdini non inducono a far pensare che ci voglia un cambiamento radicale? Fini attutisce: casi diversi, nota innanzitutto. Il coordinatore, prosegue, ha detto di non aver nulla da temere e si affida serenamente a quelle che sono le indagini. Scajola ha ritenuto di doversi dimettere pur non essendo indagato. «Non diamo vita allora a inutili polemiche!». Precisa anzi, Fini, di non esser d’accordo con la richiesta di un passo indietro di Verdini: «La storia, anche recente, è zeppa di casi in cui a un avviso di garanzia è seguita un’ammissione di non sussistenza dei fatti... ». Il che non gli impedisce di ribadire di «vedere nella magistratura un baluardo di legalità». Anche se ci tiene poi ad aggiungere come proprio perché schierato a difesa dei giudici non possa non notare «che nella magistratura ci sono state e ci sono ancor oggi forme di politicizzazione che nuocciono in primo luogo proprio alla magistratura».
Chiede ancora di lasciare perdere la polemica quando chi lo intervista insinua che il ddl anti corruzione sia rallentato dalla maggioranza: «È un disegno di legge del governo e questo significa che i primi a esser convinti della necessità di tenere alta la guardia contro la corruzione sono proprio gli uomini del governo», puntualizza dicendosi speranzoso che imbocchi un percorso rapido. E a chi s’aspettava una difesa a tutto tondo della categoria giornalistica, ribatte che «la libertà d’informazione non è certo mai troppa», ma che un problema esiste: non di quantità, ma di qualità. Visto che il gossip è altra cosa rispetto al giornalismo e che fin troppo spesso intercettazioni private e non inseribili in procedimenti giudiziari finiscono per apparire su tanti quotidiani.
E a proposito di quotidiani - detto che Tremonti si è comportato magnificamente tenendo «chiusi i cordoni della borsa» e che «allargarli oggi sarebbe un suicidio» e precisato ancora una volta di non esser contrario al federalismo ma di volerne controllare i costi che sono «tuttora indefiniti» - piazza la sua seconda stoccata, venendo a parlare del Giornale.
Conflitto d’interessi chiarissimo, spiega, dato che «quando si è chiamati a garantire l’interesse generale, bisogna tener presente che il legittimo interesse particolare dev’esser subordinato a quello generale». E a chiudere, un giudizio asprigno su Feltri, voluto dall’editore «per vendere migliaia di copie»: «Ottimo direttore, fa il suo dovere... ma a me non piace. Usa la penna come fosse una clava».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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