Pechino - Giovanni alza gli occhi al cielo e spara. Li riabbassa, respira, sorride e torna a guardare all’insù. Dice: «Daì, dammi una mano, lo sai che per te sarebbe una bella pubblicità farmi vincere qui in Cina». Poi si concentra e spara ancora, piattello dopo piattello, tiro dopo tiro alla ricerca della perfezione.
Giovanni Pellielo ha 38 anni e due obiettivi: alla quinta Olimpiade vuole vincere quell’oro nel tiro a volo che ancora gli manca dopo il bronzo di Sydney e l’argento di Atene. Lo desidera fortissimamente perché vorrebbe dire trionfare due volte: la prima coronando il sogno di una vita; la seconda potendo raccontare, come fece ad Atene, la sua fede di cristiano. Ben sapendo che farlo da qui avrebbe sapore e peso profondamente diversi. Per questo sembra o si sente un apostolo con il fucile da gara; per questo dà del tu al Signore; per questo gli chiede apertamente, «dai, aiutami», sai che pubblicità vincere e far parlare di te in casa del gigante dagli occhi a mandorla...
Signor Pellielo, pubblicità?
«Sì, glielo dico sempre...».
Proprio a lui?
«Al Signore... gli dico che far bene qui in Cina avrebbe il valore di una testimonianza in un Paese così lontano dal nostro».
Vittoria a parte, ci tiene molto?
«Per me è importante poter essere portatore della verità. Sta scritto: “siate santi come io lo sono e chi mi riconoscerà davanti agli uomini io lo riconoscerò davanti al Padre mio...”. Bisogna avere la capacità di testimoniare la propria esperienza di fede. In fondo è come per San Paolo quando sbarcò a Malta...».
Un bel paragone...
«So che non può reggere, tanto più che io non sarò mai santo, però sono consapevole che riuscire con le mie parole a portare un’esperienza di fede in un mondo come quello cinese, pervaso da tante brutte cose, non ultime quelle di cui si è letto in questi mesi, sarebbe una grande conquista».
Dicono che lei sia praticamente un prete.
«Semplicemente io vivo la fede da laico, come ho sempre fatto e come continuerò a fare. Spesso molte persone, per la mia vicinanza al mondo cattolico, per gli studi di teologia, per il mio vivere da cristiano, sono giunte a considerazioni falsate. Qualcuno ha detto che avevo addirittura preso i voti. Ma, francamente, tra il sottoscritto e uno che decide di diventare sacerdote passa tanta strada quanto fra me e un campione di tennis come Roger Federer...».
Perdoni, ma visto quanto fin qui detto, è facile fraintendere la sua vocazione...
«Un conto è vivere la fede da buon cristiano, un conto da ipocrita e un conto da sacerdote. Sono tre visioni completamente diverse, soprattutto al giorno d’oggi dove molti si professano credenti e fanno ben altro. C’è gente che dice di essere cristiana e tiene condotte di vita immorali e urla ai quattro venti bestemmie».
Cambiando argomento, ma restando in tema di imprecazioni: che cosa ha pensato quando è giunto a Pechino e ha mirato il primo piattello nella nebbia da smog?
«Mi è subito venuto in mente quel film...».
Non sarà mica un polpettone religioso?
«No, no, quel film di Fantozzi, quando Paolo Villaggio gioca a tennis nella nebbia con il ragionier Filini. Ecco: se il giorno della gara mancheranno sole e cielo limpido, rischieremo quella fine».
Vuol dire che il piattello proprio sparisce?
«Sì, a volte è davvero difficile individuarlo. Durante gli allenamenti mi sembrava di essere nella mia Vercelli a novembre».
E in più non si spezza?
«Sì, di solito alle olimpiadi si usavano i piattelli con gli stessi requisiti di quelli impiegati durante il quadriennio nelle gare di coppa del mondo, invece quest’anno li hanno cambiati... in più c’è la nuova finale con gli ultimi sei che sparano un solo colpo: per noi diventa un terno al lotto... Diciamo che così ci agevolano la ricerca di una scusa se le cose andassero male.
Anche perché c’è quell’altro discorso della pubblicità...
«Sì, sì... glielo dico sempre di aiutarmi, perché qui non dobbiamo sbagliare».
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