da Washington
George W. Bush è proprio molto arrabbiato, Nancy Pelosi fa proprio la ruota. I due atteggiamenti, evidentemente, sono correlati: nascono dalla «invasione di campo» nella politica estera presidenziale che la presidente della Camera ha compiuto in un momento particolarmente delicato, scegliendosi linterlocutore più discusso e, dunque, quello che fa più notizia: il presidente siriano Bashar al Assad, che gli Stati Uniti accusano di fomentare e proteggere il terrorismo internazionale, particolarmente rivolto contro Israele. E la Pelosi si è presentata alla stampa subito dopo il colloquio al «vertice» affermando di essere andata a Damasco prima di tutto come latrice di un messaggio da Gerusalemme: una lettera del primo ministro Ehud Olmert in cui il governo dello Stato ebraico si dichiara «pronto a colloqui di pace con la Siria». E proprio a Nancy il dittatore di Damasco ha affidato la sua promessa: «Anchegli è pronto a rimettere in moto i negoziati di pace, a trattare con Israele. Nel senso, egli ha aggiunto, che la Siria adotta la recente iniziativa araba esposta dal re saudita: la nostra scelta strategica è la pace».
I negoziati fra Siria e Israele, formalmente centrati sulla restituzione a Damasco delle Alture del Golan in cambio di un riconoscimento totale dello Stato ebraico, sono interrotti da sette anni. Lamministrazione americana accusa la Siria di rendere impossibili le trattative con il suo appoggio a Hamas, la più intransigente organizzazione palestinese. Ce nè abbastanza per giustificare la durissima reazione di Bush, che ha definito la visita del presidente della Camera «un grave errore», un «gesto controproducente», una iniziativa che crea confusione allestero con messaggi contrastanti sulla politica estera americana e, fra laltro, di aver «trattato con dei terroristi». Siamo dunque allo scontro frontale a Washington, anche se un po di acqua sulle fiamme lha sparsa Olmert con una sua precisazione: non cè niente di così nuovo nel messaggio che il primo ministro ha chiesto nei giorni scorsi alla Pelosi di consegnare ad Assad. E pertanto «non cè nulla che contrasti con le precedenti prese di posizione del nostro governo». E in affetti le parole di Olmert proprio inedite non sono: già da alcuni giorni lo Stato ebraico aveva dato indicazioni di una disponibilità maggiore del solito a colloqui con gli Stati arabi. E difficilmente è un mero caso che la pur ambigua «apertura» del monarca saudita sia avvenuta adesso. Lipotesi di un ruolo-guida dellIran (Paese non arabo) nel Medio Oriente ha messo in allarme soprattutto i regimi conservatori di quellarea. Cè dunque qualche segno di un possibile «disgelo» nel Medio Oriente e lo dimostra anche la pacifica conclusione del confronto anglo-iraniano a proposito dei marinai britannici presi in ostaggio al limite delle acque territoriali iraniane. Proprio la delicatezza del momento richiederebbe però, è opinione di Bush, cautela e limpressione al mondo che lAmerica sia unita, se non proprio compatta, in una strategia per il Medio Oriente.
Il viaggio della Pelosi indica invece il rischio che stia nascendo negli Stati Uniti una politica estera diversa e opposta a quella dellesecutivo, tanto più rimarchevole in quanto a condurla non è il Partito democratico in quanto forza di opposizione, ma il presidente della Camera in persona, cioè la terza carica dello Stato, anche come ordine di «successione» alla Casa Bianca.
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