Cani, maltrattamenti e social network. Perché il caso Disperatamente mamma fa discutere

L'uso che influencer, personaggi ma anche persone comuni fanno degli animali sui social network è un fenomeno che sta dilagando con pro e contro

Cani, maltrattamenti e social network. Perché il caso Disperatamente mamma fa discutere

I figli, i social, le bugie e ora anche i cani. Il clamore mediatico scatenatosi attorno alla blogger Disperatamente mamma si arricchisce di nuovi elementi e al centro degli attacchi e delle accuse finiscono anche i due cani di Julia Elle, Athena e Camilla. Giorni fa alcuni follower hanno denunciato che gli animali, un cocker e un bovaro bernese, sarebbero chiusi in cantina e qualcuno, lanciando l'allarme, ha annunciato addirittura l'intervento dell'Enpa.

Contrariamente alle accuse, però, alla sede di competenza territoriale dell'Enpa, quella di Como, al momento non sono arrivate segnalazioni sul caso. Ma l'attenzione rimane comunque alta, perché l'isolamento sociale di cani e altri animali da compagnia rappresenta una delle tante forme di maltrattamento. "Se la segnalazione viene fatta all'Enpa territoriale e l'ente accerta che c'è una situazione attiva e reale, attraverso le guardie zoofile attiva le forze dell'ordine", ci spiega Giusy D'Angelo, esperta cinofila Enpa e membro della giunta nazionale Ente Nazionale per la Protezione degli Animali.

L'uso che si fa degli animali sui social network sta dilagando. Se da una parte influencer e personaggi come Julia Elle condividono foto e scatti dei loro animali domestici per diffondere contenuti, dall'altra c'è chi sfrutta il sentiment che gli animali suscitano nel pubblico per trasformarli in fenomeni e sfruttarli solo ai fini di immagine o addirittura renderli protagonisti di video di dubbio gusto. "Come professionista trovo che sia un fenomeno assolutamente da fermare", ha chiarito la D'Angelo.

Si tratta di un fenomeno pericoloso?

Come in tutte le cose c'è il bello, come per esempio le persone che raccontato la storia dal punto di vista del cane o dell'animale (quindi ci sono pagine Instagram del pet, che fa la sua vita quotidiana). E questo può essere un messaggio carino. E poi c'è il brutto. Vedo tanto uso dell'animale per ridicolizzarlo e noto una crescente tendenza all'antropomorfismo (l'attribuzione di caratteristiche e qualità umane ad esseri animali, ndr). Tutte situazioni estremamente pericolose sia da un punto di vista civico sia per la tutela del benessere animale, in quanto essere sensiente e emotivo.

Parliamo di strumentalizzazione degli animali sui social?

Assolutamente sì. Vedo video di cani su una spalla, come se fossero pappagalli, con un cane che è impaurito e in una situazione precaria. E penso: 'Ti diverti tu, non il cane'. Né tanto meno chi guarda il video che ha un messaggio sbagliato. Oppure quelli che li vestono mettendogli tutù o creano situazioni di pericolo o ridicole solo per il gusto di vedere un animale in difficoltà. Anche questa è una forma di bullismo".

Non c'è tutela?

Ci sono gli avvocati e le associazioni come la nostra che, nel momento in cui vedono un determinato video o apprendono di una determinata situazione, prendono provvedimenti. Per questo stiamo cercando di sviluppare dei punti di ascolto e una nuova figura professionale che vada a diffondere un messaggio preciso, cioè se ciò che vedi merita un like oppure una denuncia. Le persone devono sapere riconoscere cosa vedono.

Quindi state lavorando a una campagna di sensibilizzazione?

Ci stiamo lavorando, da abbinare all'adozione consapevole. Adottare consapevolmente significa anche sapere cosa fare a tutela del proprio animale: cosa posso vedere e cosa non vedere e come posso intervenire, cioè quali sono le modalità con le quali posso intervenire nel momento in cui vedo un atteggiamento non congruo nei riguardi di un animale.

Per contro i social network aiutano anche a portare a galla situazioni che poi vengono denunciate.

Sì, i social in questo senso ci aiutano, perché quando le persone ci segnalano una determinata situazione noi la possiamo passare al nostro ufficio legale che prende i provvedimenti necessari. In alcuni casi c'è la rimozione del contenuto o delle immagini video e una penale, in altre l'intervento. Dipende dal tipo di reato commesso.

Vi siete occupati del caso della ragazza che, avvicinando un cane con la scusa di una carezza, lo ha preso a calci?

Abbiamo saputo della vicenda ma quando ce ne siamo occupati non abbiamo più trovato materiale su internet. Altrimenti saremmo intervenuti per denunciarla come abbiamo fatto in precedenza per un ragazzo che aveva preso a calci e soffocato un cane. Nel caso della ragazza il contenuto era già stato rimosso.

Sono aumentate le denunce grazie ai social?

Il problema è che le persone hanno paura a denunciare. Andare dai carabinieri è visto come: "Faccio perdere tempo alle forze dell'ordine". Poi c'è chi ha paura di ritorsioni. Quindi i social, da questo punto di vista, aiutano perché è qualcosa di anonimo che poi diventa virale e automaticamente ci consente di denunciare. Perché è bene sapere che è dimostrato scientificamente che una persona che maltratta un animale un domani può maltrattare una persona. Per questo è importante rivolgersi all'Enpa territoriale prima che sia troppo tardi.

Come nel caso delle accuse a Disperatamente mamma, è sufficiente una segnalazione per attivare l'indagine o serve una denuncia?

I meccanismi sono vari e sul sito del Ministero della salute c'è una sezione per le segnalazioni. Il problema è distinguere cosa è davvero maltrattamento e cosa che non lo è.

Spesso si crea un imbuto per le denunce di isolamento sociale di cani, che i Nas non riescono a gestire perché sono veramente tante e a volte non sono fatti concreti. Per questo puntiamo sulla sensibilizzazione di che cosa è da denunciare e cosa no.

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