Alberto Asor Rosa, il comunista "eretico" divenuto No Cav

È scomparso lo storico e accademico Alberto Asor Rosa, "comunista eretico" in gioventù. Fu tra i 101 firmatari del manifesto di condanna dell'Unione sovietica che aveva invaso Budapest. Nel 2011 un controverso attacco a Berlusconi

Alberto Asor Rosa, il comunista "eretico" divenuto No Cav

All'età di 89 anni è morto a Roma Alberto Asor Rosa, storico, accademico, membro di lungo corso del Partito Comunista Italiano e, per un breve frangente (1979-1980), anche deputato del Pci.

Uomo di cultura marxista, nato a Roma nel 1933, Asor Rosa si formò fin da giovane nel filone "operaista" guidato da Mario Tronti che perorava una rilettura del pensiero di Marx in senso italiano e, dunque, antiautoritario alla luce della tragica esperienza della repressione in Unione Sovietica. Vicino a Tronti, Toni Negri e Raniero Panzeri, Asor Rosa a soli 23 anni si mise in mostra per essere uno dei più giovani firmatari del Manifesto dei Centouno con cui molti intellettuali comunisti condannarono l'invasione sovietica dell'Ungheria nel 1956.

Il movimento operaista sarebbe poi, tra il 1968 e il 1977, sfociato nelle formazioni extraparlamentari di Potere Operaio, Lotta Continua e Autonomia Operaia. Asor Rosa avrebbe fatto un passaggio nello Psiup per tornare al Pci negli anni Sessanta, collaborando a testate di peso come Quaderni rossi, Classe operaia, Laboratorio politico e Mondo Nuovo. Nel 1968 diresse la storica testata Contropiano, dalle cui colonne si scontrò con Pier Paolo Pasolini sulle radici profonde della cultura italiana, e avrebbe anche diretto Rinascita nel 1990.

La politica fu però una sola delle componenti della vita di Asor Rosa, che si affermò soprattutto come critico della letteratura e storico dell'Italia medievale e dell'Età Moderna. Allievo di Natalino Sapegno, Asor Rosa si era laureato a La Sapienza in letteratura con una tesi su Vasco Pratolini. Aveva poi conquistato la cattedra di ordinario di Storia della Letteratura nella sua Alma Mater nel 1972, mantenendola fino al 2003. Al centro dei suoi studi molte analisi su Alessandro Manzoni, Niccolò Machiavelli e Giuseppe Ungaretti e sul rapporto tra sviluppi antropologici, cultura e rapporti tra massa e potere. Criticò a lungo l'approccio della Sinistra colta verso le classi operaie, pur essendo lui stesso membro di quell'intellighenzia che costruì l'egemonia culturale di Sinistra tra Anni Sessanta e Settanta.

A fine Anni Ottanta Asor Rosa, "La Sora Rossa" dal cognome palindromo per i suoi studenti, criticò la svolta della Bolognina con cui Achille Occhetto volle portare il Pci a divenire Partito Democratico della Sinistra. "Anziché scegliere – ma questa è la materia del dibattito di allora – la strada di una ricostruzione fermamente orientata a conservare, per quanto possibile, l’assetto unitario e il radicamento sociale profondo e universalmente distribuito del Pci nella società italiana del tempo, Occhetto buttò all’aria tutto pensando che con un gesto clamoroso si sarebbero risolti miracolosamente tutti i problemi di gestione politica del Partito", scrisse nel 2021 su Micromega, testata dell'amico Paolo Flores d'Arcais. "Io comunque", raccontò Asor Rosa, "non entrai in Rifondazione, non essendo persuaso da queste insorgenze di sinistra, e non lasciai il Partito. Restai in questo segmento della storia del Pci fino a quando Massimo D’Alema – altro personaggio importante di questa storia – da presidente del Consiglio non mandò gli aerei italiani a fare azioni di bombardamento in Bosnia Erzegovia [sic, in realtà fu la Serbia]".

Negli ultimi anni era tornato allo studio e alla scrittura. Due suoi romanzi hanno vinto nel 2003 il Premio Grinzane Cavour e nel 2017 il Premio Cesare Pavese. Duro critico di Silvio Berlusconi, nel 2011 si distinse per un'accusa al Cav di essere un "golpista" e ha accusato di "autoritarismo" Matteo Renzi e Denis Verdini prima del referendum del 2016. Ultimi colpi di coda di un uomo controcorrente che non uscì mai, nel bene e nel male, dagli schemi "anarchici" che lo contraddistinguevano.

Ma a cui va riconosciuto di non aver avuto lo stesso presenzialismo di molti altri intellettuali di sinistra, soprattutto negli ultimi anni. E il cui contributo culturale resta sicuramente innegabile in campo della letteratura e della storia d'Italia.

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