L’imperatore del Giappone Naruhito e l’imperatrice Masako hanno iniziato il loro tour ufficiale nel Regno Unito lo scorso 25 giugno, la prima visita di sovrani stranieri dopo la diagnosi di tumore di Re Carlo III. Il programma d’impegni include una visita a Oxford, dove entrambi i reali giapponesi hanno studiato e un omaggio alla tomba della regina Elisabetta. L’arrivo di Naruhito e Masako a Londra è un’ottima occasione per approfondire la conoscenza di questa millenaria dinastia dell’Estremo Oriente, ma soprattutto per focalizzare l’attenzione su uno dei misteri più avvincenti che riguardano la dinastia del Trono del Crisantemo. Un enigma mai svelato finora, che rappresenta anche una grande differenza nell’interpretazione dei concetti di impero e monarchia tra Occidente e Oriente.
Naruhito e Masako a Londra
Gli imperatori del Giappone sono arrivati a Londra lo scorso 22 giugno e ripartiranno il prossimo 29 giugno. La visita di Stato vera e propria, però, durerà dal 25 al 27 giugno. Il tour reale, il cui scopo è rendere ancora più salda l’amicizia tra il Regno Unito e il Giappone e tra le dinastie regnanti, era atteso da anni. Per la precisione era stato organizzato per la primavera del 2020, ma la pandemia da Covid-19 ne ha reso impossibile la realizzazione. Naruhito e Masako avranno l’opportunità di rivedere Oxford, dove hanno studiato, recarsi nella St. George’s Chapel a Windsor, dove è sepolta la regina Elisabetta, vedere la Thames Barrier, la barriera che protegge la città di Londra dalle maree del Tamigi e visitare la Japan House London, centro culturale dedicato al Giappone.
Il 25 giugno 2024 la coppia imperiale renderà omaggio alla Tomba del Milite Ignoto e parteciperà a un banchetto di Stato a Buckingham Palace. Non è previsto alcun incontro con il premier Rishi Sunak, data la prossimità delle elezioni, il prossimo 4 luglio. Questo viaggio sarà anche l’occasione per rivedere l’imperatrice Masako, che prende parte agli appuntamenti ufficiali con grande parsimonia, a causa della depressione di cui soffre. Proprio la malattia dell’imperatrice e le relative cure a cui dovrebbe sottoporsi quotidianamente, ha scritto Japan Today, avrebbe reso necessario il soggiorno dei reali giapponesi in una delle residenze reali dei Windsor.
Naruhito e Masako sono stati a Londra, l’ultima volta, per i funerali della regina Elisabetta, nel settembre 2022, mentre la visita più recente di Re Carlo III risale al 2019, quando era ancira principe di Galles, per l’intronizzazione dell’imperatore. Proprio questo importante appuntamento fa da sfondo al mistero che circonda i gioielli della Corona giapponese (diciamo così per comodità ma, in realtà, nella monarchia giapponese non esiste una corona vera e propria, come la conosciamo noi e per questo la cerimonia di successione al trono non è un’incoronazione, ma un’intronizzazione).
La dea del Sole e il primo imperatore
Le origini della famiglia imperiale giapponese si perdono nel mito. La capostipite del casato, infatti, viene identificata nella dea Amaterasu, la divinità associata al Sole nello shintoismo (religione politeista praticata in Giappone). Secondi i racconti del Kojiki (il più antico testo di narrativa giapponese arrivato fino a noi) la dea ordinò a suo nipote, Ninigi-no-Mikoto, di recarsi in Giappone, porre fine alle lotte intestine e costruire delle risaie da cui gli uomini avrebbero potuto trarre sostentamento (Amaterasu è considerata l’inventrice della coltivazione del riso: non è un caso che anche a questo alimento venga attribuita un’origine divina, data la sua importanza per i giapponesi).
Prima di lasciarlo partire gli fece tre doni: la spada Kusanagi, lo specchio Yata no Kagami e il gioiello Yasakani no Magatama. Oggetti sacri che sarebbero divenuti emblemi dell’impero. Dal nipote di Amaterasu ebbe origine la dinastia regnante nel Paese del Sol Levante, ci dice ancora il mito. Il primo imperatore giapponese, Jinmu era il pronipote di Ninigi-no-Mikoto, dunque diretto discendente della dea. Naruhito è il 126° discendente di Jinmu. Per la verità, però, non tutti gli storici sono d’accordo sull’esistenza del primo imperatore. Il suo nome e le sue gesta rimangono avvolte nella nebbia delle leggende e ancora oggi è molto difficile separare in maniera netta la realtà storica dall’invenzione letteraria e dalla narrazione mitica.
Questa ascendenza, comunque, rendeva il sovrano al di sopra degli altri uomini, alla stregua di una divinità in terra e, come tale, incontestabile. Tale status rimase inalterato fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Con la sconfitta del Giappone, infatti, l’imperatore Hirohito (1901-1989) si trovò costretto ad ammettere l’origine umana dei sovrani del Sol Levante nel celebre discorso “Dichiarazione della Natura Umana dell’Imperatore”, tenutosi via radio il 1° gennaio 1946.
Le controversie legate a questo discorso sono tante: per alcuni Hiroito sarebbe stato obbligato a pronunciarlo dalle forze di occupazione del Giappone, che miravano a umiliare l’orgoglio nazionale, demolendo le basi culturali e religiose del Paese. Inoltre, secondo alcune interpretazioni di alcuni passaggi, l’imperatore non avrebbe davvero negato l’ascendenza divina del casato. In ogni caso quelle dichiarazioni segnarono uno spartiacque nella storia della nazione e del casato imperiale, privando il sovrano anche della sua funzione sacerdotale e rendendolo, come recita il primo articolo della Costituzione del Giappone (promulgata il 3 novembre 1946, ma in vigore dal 3 maggio 1947), semplicemente “un simbolo dello stato e dell’unità del suo popolo”.
Il mistero dei Gioielli dell’Impero
Il grande cambiamento avvenuto dopo la Seconda Guerra Mondiale non riuscì a cancellare tutte le tradizioni legate al casato giapponese, né il sentimento di rispetto del popolo nei confronti dell’imperatore. Prova ne sono i tre oggetti sacri che rappresentano i gioielli della dinastia e che nessuno ha mai visto, a parte l’imperatore nel giorno della sua intronizzazione e i sacerdoti che presiedono alla cerimonia (che è privata). Si tratta, secondo il mito, della spada Kusanagi, della gemma Yasakani no Magatama e dello specchio Yata no Kagami, ovvero proprio dei tre emblemi che la dea Amaterasu ha consegnato al nipote prima di inviarlo in Giappone e che gli imperatori si sono tramandati di generazione in generazione.
La spada rappresenta il coraggio, la pietra preziosa la generosità, lo specchio la sapienza e la saggezza. Il primo simbolo è custodito nel santuario di Atsuta a Nagoya, il secondo nel Palazzo imperiale a Tokyo, il terzo nel santuario di Ise a Mie. Gli oggetti hanno un'origine mitologica affascinante: Amaterasu, arrabbiata con il fratello Susanowo, decise di nascondersi in una caverna. Poiché era lei la dea del Sole, il mondo sprofondò nell’oscurità. Per convincerla a uscire la divinità dell’alba, Ama-no-Uzume, appese lo specchio Yata no Kagami e la gemma Yasakani no Magatama (a tal proposito alcuni ritengono che si tratti non di una pietra singola, ma di un’intera collana di giada) a un ramo, fuori dalla caverna e iniziò a danzare.
Amaterasu, incuriosita, fece capolino verso l’esterno e, vedendo il suo riflesso nello specchio, comprese il potere del Sole come fonte di vita. Prese la collana, la cui presenza potrebbe essere interpretata come una sorta di omaggio, di tributo in suo onore e scelse di non tornare più nella caverna. Suo fratello le donò poi la spada Kusanagi (con cui aveva ucciso il mostro Orochi) in segno di pace.
Simboli del potere imperiale
Tenere gli emblemi sacri nascosti alla vista di tutti ha un significato profondo, connesso con il concetto di autorità secondo i giapponesi: “Non mostrare tali tesori è, naturalmente, una parte importante della strategia che aumenta il potere e il mistero degli oggetti”, ha dichiarato alla Cnn Mickey Adolphson, professore di Studi Giapponesi all’Università di Cambridge, precisando che lo shintoismo è “particolarmente protettivo” nei confronti dei suoi simboli. “Se chiunque potesse vederli, non avrebbero lo stesso potere. Molti storici vorrebbero analizzarli attentamente…ma in Giappone, attualmente, non vi è un grande desiderio di demitizzare, in qualche modo, gli oggetti e non mi aspetto che accada in un futuro prossimo”.
C’è perfino chi mette in dubbio l’esistenza dei simboli: “Vediamo gli scrigni…ma c’è qualcosa dentro? Nessuno lo sa”, ha affermato alla Cnn Michael Cucek, professore di Scienze Politiche alla Temple University in Giappone. Se gli oggetti esistessero davvero, sostiene lo studioso, “lo specchio probabilmente verrebbe dalla dinastia Han, in Cina, la spada, se in bronzo o ferro, sarebbe stata importata, perché all’epoca in cui venne realizzata in Giappone non vi erano risorse di metalli”, mentre la gemma sarebbe stata tagliata sul modello di quelle presenti “sulle corone dei Re e delle Regine di Silla (regno che governò la Corea dal 57 a.C. al 935 d.C.)".
In ogni caso a dare valore alla spada, allo specchio e alla gemma è la linea di successione ininterrotta al Trono del Crisantemo, ha spiegato Cucek: “I Tre Tesori…non possono legittimare le rivendicazioni di un usurpatore che sostiene di essere il legittimo imperatore. Se vengono rubati, non hanno alcun valore. Se la linea imperiale termina, loro non possono mantenere l’istituzione imperiale”. È interessante notare la differenza nella manifestazione del potere monarchico tra Europa e Giappone. Per esempio nel Regno Unito i Gioielli della Corona sono visibili al pubblico sia in determinate cerimonie ufficiali, sia nell’esposizione permanente alla Torre di Londra. Sono una dimostrazione simbolica evidente dell’autorità dell’istituzione e attirano moltissimi visitatori ogni anno.
La monarchia giapponese, invece, fa esattamente il contrario: avvolge il potere e il prestigio in un’aura di mistero attraverso degli oggetti che rappresentano, in un certo senso, un sapere esoterico, destinato a pochi eletti.
Certo, oggi lo specchio, la spada e la gemma sono più che altro simboli ornamentali, ma l’antico retaggio, seppur plasmato in parte dalla modernità, è rimasto. Non c’è un’interpretazione più valida o giusta dell’altra. Non è nemmeno il modo corretto di porre la questione. Sono entrambe, molto più semplicemente, espressione culturale dei popoli d’appartenenza.
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