Antonin Artaud (1896 - 1948) fu una colonna del gruppo surrealista dal quale fu cacciato per volontà di Breton. Ricordato soprattutto come teorico fra i massimi del teatro d'avanguardia (Il teatro e il suo doppio è del '38; altrettanto nota la formula di «teatro della crudeltà») fu anche attore, diretto dai più grandi registi: Dreyer, Lang, Autant-Lara... Spesso in Francia gli artisti e intellettuali più celebri fuoriescono volens nolens dal loro campo e diventano esemplari in senso non specialistico. Così è accaduto ad Artaud, il cui concetto di «corpo senza organi» fu sviluppato da Guattari e Deleuze nel manifesto filosofico del 68 francese, L'Anti-Edipo. Scrittore di viaggio, anticipatore (sulla sua pelle) dell'antipsichiatria, narratore (nel romanzo Eliogabalo) stupefacente, ebbe una vita imprevedibile; spicca la parentesi del manicomio, dove fu internato per nove anni. Il giovane Lacan che lo visitò lo trovò «definitivamente fissato, perduto per la letteratura». In realtà, i cinquanta elettrochoc che gli avevano praticato non ne avevano distrutto lo spirito; riottenuta la libertà, tornò a scrivere e a frequentare la rive gauche, dove ebbe la soddisfazione di vedere un Breton resipiscente inchinarsi al suo passaggio.
Affrontare una superficie esistenziale così variegata richiede competenze non comuni, ma in primo luogo una simpatia profonda, se non fraterna. È per questo che bisogna segnalare la curatela di Carmelo Claudio Pistillo di una delle opere più complesse di Artaud, spiazzante fin dal titolo. Composto di prose poetiche di disuguale lunghezza, Il Pesa-Nervi (La vita felice, pagg. 204, euro 14) uscì nei mesi della luna di miele ideologica con Breton, nel 1925. Sono pagine che espongono e sollecitano il punto sempre inquieto in cui il pensiero disloca se stesso.
Senza la guida di Pistillo, in particolare della dettagliata, profonda ed esauriente biografia letteraria che precede il testo, si rischierebbe di prendere Il Pesa-Nervi per l'ennesimo fuoco d'artificio modernista, quando si tratta piuttosto dell'ostensione drammatica delle infinite formazioni che l'io, il pensiero e il corpo - a nostro rischio e pericolo - potrebbero generare.
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