«Ma una sirena non ha lacrime e perciò soffre molto di più». Inizia con questo esergo filologico da Hans Christian Andersen la nuova versione Disney del classico La Sirenetta che, come è già successo tante volte, riadatta dal vero i suoi stessi film di animazione. In questo caso però La Sirenetta in musica, regia dello specialista Rob Marshall (Chicago e Nine), è stata preceduta da una serie di polemiche perché ad interpretarla c'è Halle Bailey, cantante e attrice statunitense di origini afroamericane che vedremo anche nel musical The Color Purple, altra nuova versione dopo Il colore viola di Spielberg. Si è pensato che la scelta di tradire l'immagine originale della fanciulla dalla «pelle chiara» con «gli occhi azzurri come un lago profondo» fosse per inseguire il politicamente corretto e i temi dell'inclusività. Incredibile a dirsi, è veramente così, eppure tutto funziona. Come la protagonista che ha uno sguardo curioso, interrogativo, ingenuo, accogliente come ogni brava sirena (che poi l'immagine di dee pisciformi si perde nella storia dell'umanità e probabilmente nasce nella «solita» mezzaluna fertile, per cui vai a capire il vero colore della pelle...).
Certo, rispetto al film di animazione del 1989, che impiega 82 minuti per raccontare la storia della sirena Ariel, innamorata del principe Eric, per il quale stringe un patto con la strega del mare Ursula (Melissa McCarthy in versione Wanna Marchi) per scambiare la sua bella voce con due gambe umane, qui ce ne vogliono 135. Così il brodo parecchio allungato fa sì che i difetti del film, per esempio la figura, esteticamente un po' ridicola, del padre di Ariel, il Re Tritone interpretato da un Javier Bardem parecchio spaesato, risultino molto più evidenti.
Anche l'impianto visivo del mondo sottomarino, a ben vedere, appare meno meraviglioso di quello visto di recente nel nuovo Avatar.Ma, alla fine, quello che funziona sempre è il canto di una storia d'amore ostacolata dalla diversità. Un tema molto moderno, oggi come nel 1837 di Andersen.
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