Pino Daniele, il documentario che racconta i suoi anni d'oro

A gennaio sarà nei cinema "Nero a metà" sull'artista morto nel 2015. De Piscopo: "Componeva capolavori in un quarto d'ora"

Pino Daniele, il documentario che racconta i suoi anni d'oro

Avrebbe potuto essere uno steward dell'Alitalia. Detto chiaramente: il più improbabile steward dell'Alitalia a memoria d'uomo. Ma quando il colloquio era lì lì da sostenere a Roma, Pino Daniele ricevette la proposta di contratto della Emi, la casa discografica dei grandi. E grazie al cielo (non finendoci a lavorare, in cielo) Pino Daniele divenne Pino Daniele. È questa la chicca più curiosa di Nero a metà, il documentario realizzato da Marco Spagnoli e Stefano Senardi (che con Pino lavorò come discografico ai tempi del singolo Quando e dell'album Un uomo in blues), prodotto da Fidelio e Eagle Pictures, atteso in duecento copie nelle sale italiane dal 4 al 6 gennaio. Per ora una manciata di giorni poi chissà, perché la magia del bluesman napoletano è tale che il calendario potrebbe subire un aggiornamento. Dopodiché ci saranno le piattaforme televisive, perché la lezione di Pino Daniele dovrebbe raggiungere tutti.

Scocca il triste decennale della scomparsa del musicista napoletano e siamo a quarantaquattro dall'uscita di Nero a metà, il cosiddetto «album perfetto» dell'artista autore di perle come I Say I' sto ccà, Quanno chiove, Voglio di più, Nun me scoccià e altri brani memorabili (ma intanto questi citati sono tutti in quello splendido disco datato 1980): motivi per raccontare l'interprete principe di un passaggio storico per la musica italiana (il «napulitan sound» degli anni '70 e 80) ce ne sono parecchi. Anche per tenere il faro acceso sul grande chitarrista e compositore e magari sfumare i contorni di un litigio familiare intorno alla sua persona e alla stessa campagna di promozione del titolo, che ha visto in queste ore protagoniste la ex moglie Fabiola Sciabbarrasi e l'ultima compagna Amanda Bonini: la stampa ha rivelato l'intervento di Sciabarrasi per impedire la partecipazione di Bonini alla puntata di Domenica In di Mara Venier domenica scorsa.

Sullo sfondo, tra lunghe incomprensioni, anche le accuse nemmeno troppo velate della ex moglie di Daniele alla compagna di lui nei drammatici giorni della morte del musicista: secondo Sciabarrasi, Daniele non sarebbe stato soccorso a dovere. A presentare a Milano ieri il documentario Nero a metà c'erano il produttore cinematografico Silvio Maselli di Fidelio, Stefano Senardi e Tullio De Piscopo, storico batterista di Pino Daniele, fuoriclasse dei tamburi e una delle memorie storiche intervistate nel documentario, insieme al saxofonista James Senese, il bassista Rino Zurzolo, il tastierista Joe Amoruso, il percussionista Tony Esposito, e ad altri protagonisti di quella che ai tempi fu la moderna scena napoletana, artisti come Enzo Avitabile, Enzo Gragnaniello, le cantanti Teresa De Sio e Fausta Vetere e addetti ai lavori, napoletani e non.

Sfiorando delicatamente la «piaga» di cui sopra, Stefano Senardi mette in chiaro subito che «per la realizzazione di questo documentario non abbiamo intervistato familiari, ma solo musicisti che hanno suonato con lui o hanno vissuto quella stagione speciale, giornalisti e discografici. Ho avvisato Fabiola e Amanda, che conosco personalmente, ma ho evitato interviste per non perdermi in mal di testa». Il racconto è attraversato dalla musica e dalle canzoni di Pino Daniele soprattutto con interventi acustici dal vivo «di alcuni giovani artisti napoletani scovati sul web come Andrea Radice, Fabrizio Falco, Gabriele Esposito, Chiara Ianniciello, Antonio D'Agata e Giulio Scianatico, spiega Senardi a dimostrare come la memoria e il lascito di Pino siano ancora vivissimi oggi tra le nuove generazioni».

Le parole e le immagini di Napoli, a cominciare dal quartiere dove Pino nacque il 19 marzo 1955, fanno il resto. «Pino? Non devo pensare a lui come a qualcuno volato da qualche parte spiega James Senese Lui è ogni giorno qui con me». Sulle stesse corde Tullio De Piscopo: «Io Pino lo sento vicino sempre. Lui aveva il potere di tirarmi su se ero depresso per motivi di salute: quando non ero in tour con lui, bastava raggiungerlo per telefono e sentire la sua voce. Una battuta e tutto andava per il meglio». Un genio: affiora spesso questa definizione lungo il documentario «perché - è sempre De Piscopo a parlare lui sapeva comporre capolavori in quindici minuti, e poi magari da quegli stessi accordi tirare fuori altri due o tre pezzi. Lui era la vera Intelligenza Artificiale, diversa da quella che oggi scrive i brani per Sanremo, tutti uguali, tutti anonimi».

A emergere è anche, a detta di più testimoni, il Pino Daniele «dal carattere permaloso», «che poteva prendersela per due giorni se gli dicevi anche solo che aveva messo su qualche chilo».

Numerosi gli aneddoti, quelli sulla realizzazione dei primi tre album Terra mia, Pino Daniele e Nero a metà e dal leggendario concerto dell'estate 1981 in Piazza del Plebiscito a Napoli, quando la superband guidata da Pino, in un momento storico difficile per la Campania dopo il terremoto in Irpinia che

aveva causato più di tremila morti, si esibì di fronte a duecentomila spettatori e, spiega Senardi, «cambiò lo stesso destino di quel luogo: un tempo parcheggio di auto e mezzi pubblici, divenne un luogo simbolo della città».

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