PLASTICA-FREE

Gioia Locati

Plastica addio. Dopo Starbucks e Mc Donald's anche Adidas ha deciso di produrre in modo consapevole: stop alla plastica vergine, sì a quella riciclata, bandito anche il poliestere dall'abbigliamento. Con buona pace degli sportivi che amano gli indumenti sintetici perchè si asciugano in fretta. È ora di buttar giù il muro delle abitudini costruite sulla plastica - dalla bottiglietta d'acqua al sacchetto della spesa; dalle scarpe ai piatti usa e getta - perchè rischia di soffocarci. L'appello di Greenpeace non è più una voce nel deserto: «Ogni minuto, per 365 giorni all'anno, l'equivalente di un camion di plastica finisce nel mare». La conferma arriva dagli scienziati. L'università di Pisa ha documentato un consistente inquinamento di microplastiche alle foci dei fiumi Arno e Serchio, pari a 5-10 grammi per metro quadrato di spiaggia. E visto che il mare è uno, non stupisce che nelle impervie acque dell'Artico siano state misurate 12mila particelle di microplastiche per litro. «C'è il rischio che queste particelle veicolino altri veleni come pesticidi e idrocarburi» spiegano i ricercatori. Presa coscienza del livello di inquinamento, è in atto, come si suol dire, un cambio di paradigma. Sempre più aziende si sono convertite al riciclo, Adidas ha calcolato che eliminando tutta la plastica dalle sue aziende risparmierebbe 40 tonnellate di rifiuti l'anno. I consumatori sono pronti e anche disposti a spendere qualcosina in più pur di non danneggiare l'ecosistema. E visto che le cannucce di Starbacks impiegano 500 anni a degradarsi ben vengano quelle biodegradabili (che si gettano nell'umido). Non solo. Alcune case di moda hanno costruito il proprio successo su linee di abbigliamento o di design di prodotti riciclati. Il brand spagnolo Ecoalf creato da Xavier Goyeneche utilizza filati derivati dai rifiuti pescati nel Mediterraneo. Dispone di 600 pescherecci che, ad oggi, hanno rimosso 65 tonnellate di spazzatura. Per ottenere un metro di filato si eliminano 70 bottiglie di plastica. Ecoalf utilizza anche pneumatici, cotone e caffè. Tramite particolari processi di tessitura i rifiuti cambiano aspetto. E si trasformano in borse, scarpe, zaini o giacche. Più o meno lo stesso destino è riservato alle gomme da masticare (riciclate), il cui ingrediente principale è un derivato della plastica. Una designer inglese, Anna Bullus, ha ricavato e brevettato un materiale dai chewingum masticati, il Gum-tec. Una sorta di pasta modellabile con la quale la creativa ha ottenuto oggetti di uso quotidiano, pettini, cover per smartphone, tazze; ma anche scarpe e stivali per la pioggia. Il tutto nuovamente riutilizzabile. Gli italiani consumano qualcosa come 23mila tonnellate di chewingum all'anno. Il tempo medio per smaltire le gomme è di 5 anni ma se tutti le gettassero a terra salirebbero alle stelle i costi delle pulizie. Soltanto a Londa si spendono 13 milioni di euro in prodotti chimici e aspiratori.

Una ragione di più per smaltire in modo consapevole, creare nuovi oggetti. E anche questo «secondo» mercato è destinato a una vita di gloria: si pensi agli arredi in plastica recuperata in bella mostra al Salone del Mobile a Milano.

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