Pochi donatori, troppi costi. Così cambia la lirica

La crisi parte dagli Stati Uniti. La cancel culture è tra le cause del calo degli abbonamenti

Pochi donatori, troppi costi. Così cambia la lirica
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I billionaire americani non amano, e dunque non sostengono, Mozart o Verdi-& Co. E i nostri billionaire? Dipende, ma comunque vada, arriva lo Stato a coprire eventuali buchi nei bilanci dei teatri d'opera, generosità che vien meno quando si tratti di orchestre e associazioni concertistiche, figlie di secondo letto di un'Italia mamma-chioccia del melodramma.

Partiamo da un fatto che segna i tempi. Il direttore d'orchestra Esa-Pekka Salonen si congederà presto dalla Sinfonica di San Francisco perché non accetta il taglio allo stipendio. Si taglia perché l'orchestra da tempo conosce una crisi finanziaria, come la maggior parte delle istituzioni musicali e teatrali statunitensi. E lo Stato è inesistente nel Paese del liberismo. Ed anche nelle aree più ricche del mondo sono in via d'estinzione benefattori come Louise M. Davies, alla quale si intitola, avendola sovvenzionata, la sala da concerti di San Francisco.

I billionaire della Silicon Valley non sostengono la cultura quando è a perdere, al massimo staccano assegni per Harvard o Stanford perché intravedono un ritorno negli atenei dove crescono studenti folli e affamati che si affermeranno e creeranno altro benessere. E, detto fuor di metafora, ma anche dentro, la divisa dei miliardari da silicio, bermuda e maglietta, mal si concilia con la giacca e cravatta degli eventi di classica e lirica. Stesso problema a Seattle, altro luogo dove l'high-tech semina dollari: i Musk di turno snobbano l'opera e la classica.

Quello dei «donors» è uno dei problemi che affligge il mondo «no profit» della classica e lirica, e poiché quanto accade Oltreoceano poi arriva nel vecchio continente, scrutiamo timorosi; fermo restando che già qualcosa si sta verificando. Sia negli Usa sia nel vecchio continente, per esempio, suona ormai obsoleta la strategia dell'abbonamento annuale, lo spettatore si è fatto selettivo e pianifica a corto raggio, con carichi d'ansia per l'organizzatore incerto che fino all'ultimo. Sia là sia qua il pubblico decresce, l'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia ha visto gli abbonamenti calare in sei anni di 1360 unità e i biglietti singoli di 21.261, la menzioniamo poiché primeggia in Italia assieme alla Filarmonica della Scala, che però è ente privato, gode di un marchio potente, è dunque fuori dal coro. Basta un colpo d'occhio alle sale da concerto milanesi, le più ambite dai concertisti in tournée, per farsi un'idea del progressivo calo di pubblico.

Torniamo negli Usa. Al Met di New York la capienza media non va oltre il 73%, aumentano le spese e diminuiscono gli introiti. La risposta? Strategie rispettose della cancel culture, delle quote rosa e altre tinte, del politicamente ed etnicamente corretto per cui Madama Butterfly potrebbe offendere il Giappone e Turandot la Cina, no agli artisti russi perché belligeranti e via discorrendo. Così si stanno facendo largo opere contemporanee in omaggio a quanto sopra. E pazienza l'arte.

Nei teatri d'opera europei lo Stato è generoso in Germania, Austria e Francia, mentre l'Italia con gli anni si è fatta cauta, pur coi vari distinguo. Così - da un punto di vista economico - abbiamo la Scala che va a gonfie vele perché tengono i mecenati ed è ben amministrata, a tacere però di una programmazione non sempre all'altezza del lusso scaligero, che evidentemente avrebbe i suoi costi: difficile conciliare il pareggio di bilancio con le aspettative dei pochi intenditori e dei molti visitatori di passaggio. La Fenice di Venezia funziona perché ben amministrata e ha i turisti. L'Opera di Firenze non funziona, ma vedremo cosa accadrà con la nuova sovrintendenza; fu velleità posizionare quel teatro-aeroporto alle porte di una città sì bella, riempirlo è un'impresa, andarci un sacrificio. Nell'Italia dalle plurime cucine, lingue, usi e costumi, ogni teatro chiederebbe analisi mirate, c'è però per una costante ed è quella di storie di fallimenti e di salvataggi statali. Ma chi soffre di più, inascoltata dai mecenati e dal FUS (Fondo Unico Spettacolo), è la musica strumentale, cameristica e sinfonica. E torniamo al caso di San Francisco.

Eppure in Italia sono proprio le associazioni concertistiche e in particolare di provincia a irrorare il tessuto musicale italiano il quale ha il suo apice mediatico nella Prima della Scala o nella seratona dell'Arena in omaggio alla Lirica Patrimonio Unesco: 2 dei 365 giorni scanditi da eventi quotidiani lungo tutto lo Stivale.

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